Piadine allo yogurt

Piadine allo yogurt

E’ bello tornare a scrivere sul blog dopo un lungo periodo di assenza, e farlo perché tanti hanno visto le mie Piadine allo yogurt su Instagram e mi hanno chiesto la ricetta.
Mi fa piacere essere in qualche modo utile, e lasciare qualche bella idea – facile e veloce, perché questo è il mio mantra! – che sia anche leggera e gustosa.

Queste Piadine allo yogurt le ho fatte la prima volta al mare, per una breve gita tra le mura della vecchia Volterra. E’ un appuntamento fisso di ogni anno una visita a questa bellissima cittadina di origini etrusche, ed è diventata tradizionale anche la nostra colazione al sacco al parco appena fuori dalla Porta a Selci.
Solo che quest’anno non avevo con me la bilancia, e sono andata ad occhio con gli ingredienti, prendendo ispirazione dal Pane Naan che ho provato qualche tempo fa (e che trovate qui). Sono uscite delle Piadine allo yogurt molto gustose, fatte velocemente, belle morbide e assolutamente alla portata di tutti.

Viste le tante richieste, le ho rifatte a casa, bilancia elettronica alla mano, per misurare per bene gli ingredienti. Queste quantità mi hanno dato tre gustosissime piadine, che io ho farcito semplicemente con prosciutto toscano, stracchino di Sorano e un filo di olio (toscano, naturalmente!). Semplici ma gustosissime.

Sono anche un ottimo sostituto del pane, perché non richiedono lievitazione.
Se le provate, fatemi sapere se vi sono piaciute.

Ingredienti:
125 g di yogurt bianco non zuccherato (io ho preso quello magro) per la versione vegana prendete quello di soia
130 g di farina 00
1 cucchiaino di lievito istantaneo per salati (io ho usato quello di Paneangeli)
½ cucchiaino di sale
1 cucchiaio colmo di olio EVO

Procedimento:
In una terrina abbastanza capiente mettete lo yogurt, l’olio e il sale, e mescolate con una forchetta.
Aggiungete la farina poco per volta, impastando prima con la forchetta e poi a mano. A metà della farina aggiungete anche il lievito.

Lavorate fino a che l’impasto non risulterà più appiccicoso. A seconda di quanto è consistente lo yogurt potrebbe essere necessaria un po’ più di farina, quindi tenetela sotto mano (io l’ho rifatta già due volte, con due marche di yogurt diverse, e la seconda volta ho dovuto mettere 10 gr di farina in più).
Dall’impasto ricavate tre palline di peso simile (io sono andata ad occhio), e lasciatele riposare un quarto d’ora.

Intanto scaldate una padella antiaderente sul fornello.

Stendete con un matterello ciascuna delle palline, aiutandovi con della farina sul piano di lavoro. Il diametro dovrebbe essere (sempre a occhio) di circa 18/20 centimetri.

Quando la padella sarà ben calda, mettete ciascuna Piadina allo yogurt a cuocere per qualche minuto (se la padella è correttamente scaldata, 3 o 4 minuti basteranno).

Quando inizierà a colorirsi, girate dall’altra parte.

Gustate calde sono ottime, ma se le conservate coperte con un panno in frigo saranno ottime anche il giorno dopo (basterà scaldarle per un minuto in padella).

Brioches al miele e il primo weekend di primavera

Brioches al miele e il primo weekend di primavera

No, non guardare il calendario. Quello appena trascorso è stato un weekend di primavera in anticipo, un regalo inaspettato di questo pazzo tempo. Cieli tersi, fresco al mattino, tepore al pomeriggio. Il tempo perfetto per rallentare un attimo, perdersi dietro le prime fioriture, contemplare la natura rinascere, anche in mezzo al cemento di Milano.

Il tempo perfetto per ricominciare a panificare. Mancavo a questo appuntamento da un po’. Per panificare ci vuole serenità. La mente sgombra di pensieri, il cuore più leggero. Negli ultimi tempi non è stato semplice avere lo spazio mentale necessario per impastare, sedere e aspettare. I giorni si sono susseguiti così veloci, col cuore in gola, a sbrogliare gli ingarbugliati gomitoli degli eventi – o, per meglio dire, degli accidenti. Cinque mesi vissuti vorticosamente, come dentro un’enorme centrifuga.

Grazie al cardiologo, e ad un piccolo problema di ripolarizzazione (risoltosi da solo, per fortuna), il mio cuore, il mio cervello ed io abbiamo tenuto un rapido consesso, al termine del quale ne siamo usciti con una mozione unitaria. Basta così, rallenta.

Il giusto freno sono state queste sofficissime Brioches al miele, senza lattosio (e quindi senza burro, nel caso foste già in modalità prova costume), che ho fatto lievitare in frigo perché, ahimè, mi sono accorta tardi di aver finito le uova e non ne avevo per spennellare prima di infornare. Questo piccolo inconveniente mi ha però dato l’occasione per provare un procedimento perfetto per le colazioni del weekend, che vi lascio. Si fa il venerdì sera, e si inforna il sabato mattina, per avere le brioches al miele già pronte per l’ora di colazione (solo che voi non vi sarete dimenticati le uova..).

Con queste quantità ne dovrebbero uscire una decina di dimensioni regolari. Questa volta io ho usato solo manitoba, ma solitamente mi piace farle come quelle del bar con della farina integrale – vi lascio qui sotto la versione “originale” semi integrale.

Brioches al miele 
Ingredienti:

Per la biga (da preparare la sera prima):
100 g farina manitoba
100 g acqua a temperatura ambiente
10 g lievito di birra fresco

Per l’impasto:
200 g farina manitoba
200 g farina integrale
2 uova (io medio grandi)
50 g latte di mandorle (se non avete problemi usate pure quello vaccino)
50 g zucchero semolato
40 g miele (io avevo a casa il millefiori, ma anche l’acacia va bene)
80 ml olio (di riso o di oliva, ma deve essere di oliva dolce)
un cucchiaino di essenza di vaniglia
un pizzico di sale

Per glassare:
un uovo e 50 ml di latte di mandorle
miele

Preparazione:

La sera prima preparate la biga mescolando in una ciotola i tre ingredienti (io sciolgo il lievito nell’acqua prima di incorporarla alla farina), e coprite con della pellicola. Lasciate a temperatura ambiente un’ora, per permettere al lievito di attivarsi.

Trascorsa l’ora riprendete la biga, mettetela in una ciotola più grande (o nella impastatrice – vi assicuro che fa la differenza!) e aggiungete le due farine (manitoba e integrale), lo zucchero e il miele, il pizzico di sale e l’estratto di vaniglia.
Sbattete leggermente le uova col latte di mandorle, e unitele al resto degli ingredienti, e iniziate a impastare.

Una volta che questi ingredienti si sono mescolati tra loro, completate l’impasto con l’olio, che va unito a filo mentre si continua ad impastare.
Il risultato sarà un impasto molto morbido, ma va benissimo così.

Trasferite l’impasto in una ciotola leggermente unta con dell’olio a far lievitare. Io l’ho lasciato così, coperto dalla pellicola, prima per un’oretta scarsa fuori, e poi in frigo tutta la notte. Potete però anche lasciarlo fuori, in questo caso attendete la lievitazione fino al raddoppio (a seconda della temperatura in casa vostra ci potrebbero volere un paio di ore).

Riprendete l’impasto, e con l’aiuto di un matterello stendete l’impasto in una lunga striscia alta una ventina di centimetri e spessa circa 1 cm. Se non riuscite, o avete un piano di lavoro piccolo, potete ovviamente dividere a metà l’impasto.
Tagliate dei triangoli con una base di circa 6/8 cm. Fare un piccolo taglietto a metà della base, e poi arrotolate le brioches al miele dando la forma classica della mezzaluna.

Mettete le brioches al miele così formate su una teglia coperta di carta forno, e lasciate lievitare ancora una mezz’ora (non serve coprirle) mentre il forno raggiunge la temperatura di 200 gradi.
Prendete un uovo, sbattetelo con poco latte di mandorla (tre cucchiai bastano) e spennellate la superficie delle brioches al miele. Potete decorarle con scaglie di mandorla, come ho fatto io, ma anche lasciarle così.

Cuocetele cinque minuti 200 gradi e poi altro 10 a 180 gradi.
Quando avranno finito di cuocere, attendete che si intiepidiscano e poi spennellatele con un po’ di miele.

Naturalmente potete mettere all’interno anche un po’ di miele come ripieno. Io non ne avevo abbastanza questa volta, ma la prossima ce lo metto di sicuro!

L’enigmistica sotto l’ombrellone e i grissini integrali all’olio di Maremma e olive

L’enigmistica sotto l’ombrellone e i grissini integrali all’olio di Maremma e olive

Quando vado al mare, spesso mi metto nella spiaggia libera e cerco, anche a scapito della lontananza dal bagnasciuga, di tenermi a debita distanza dal resto dell’umanità villeggiante. Questa mia specie di misantropia da spiaggia è peggiorata con la pandemia.
Eppure, per quanto io cerchi di scappare, l’umanità mi viene sempre appresso.
E in un attimo di distrazione, intenta a fare il bagno, mi ritrovo l’ombrellone circondato di teli mare altrui, radioline, palloni e racchettoni, metri di focaccia grondante olio, borse frigo dei miracoli, e l’immancabile fenicottero gonfiabile.
Ad agosto è impossibile scappare.

Questa forzata vicinanza regala però qualche simpatico siparietto comico. Questa volta gli involontari protagonisti sono stati un gruppetto di cinque ragazzi, tra i diciotto e i vent’anni, non di più. Tutti intenti a fare insieme un cruciverba. I cruciverba sono uno dei passatempi da ombrellone più diffusi, che snocciolano perle di involontaria comicità. Magari qualcuno di voi ricorderà Abatantuono nel film “Vacanze di Natale ’90“. Ecco, così.
Il gioco collettivo è che uno di loro diceva a voce alta le definizioni, con le lettere che apparivano nello schema, e gli altri avrebbero dovuto aiutarlo a completare il cruciverba.
Il dramma si è abbattuto sulla definizione “il sito megalitico più famoso della Francia“. E finiva con una C! Il silenzio è calato sul gruppo.
Sguardi vuoti. Ancora più silenzio. “Ma non hai un’altra lettera?” Ah, sì, c’è una A come seconda. Altro silenzio. Qualcuno grida “Pasternak!”, ma no, non c’entra. Nel senso che non entra proprio, troppo lungo. Altrimenti ci avrebbero anche provato!

Mi viene da girarmi. Glielo dico o non glielo dico?
Ma come fanno a non conoscere i menhir di Carnac? Sono anche più antichi di Stonehenge, e ho avuto tempo fa pure il privilegio di vederli da vicino. Mentre vanno a tentoni sparando cose a caso che non finiscono per C, mi viene la tentazione di dirglielo, ma mi blocco.
Niente, l’ultimo megalite di Carnac li sfianca e li travolge. Chiudono la Settimana Enigmistica e vanno a tirare quattro calci al pallone.

Non proprio menhir, ma se li tenete in piedi magari fanno anche loro da strumenti astronomici… tutto sta nel provare!! Intanto però potete provare a fare qualche esperimento di chimica con la lievitazione di questi deliziosi Grissini all’olio e olive, tutto rigorosamente di Maremma.
Ovviamente fateli con olio e olive che più vi piacciono, saranno comunque buoni.
La ricetta è quella dei grissini semplici all’olio col farro che ho pubblicato qui, con qualche piccolissima modifica. Vi avviso, creano dipendenza.

Grissini all’olio d’oliva e olive
Ingredienti (per tre teglie di grissini):
250 g di farina integrale
250 g di farina manitoba (o 00, se non l’avete)
250 g di acqua tiepida
8 g lievito di birra
50 g olio EVO
8 g sale
70 g di olive già snocciolate e tagliate a pezzettini
olio e sale da mettere in superficie

Preparazione:
In una ciotola mettete la farina di farro (se non l’avete potete fare metà e metà di farina 00 e manitoba).
Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida, e poi versatene una metà nella farina, e iniziate ad impastare.
Potete impastare a mano o con la planetaria.
Una volta che l’acqua si sarà assorbita, inserite anche il sale, e impastate di nuovo.
Poi aggiungete anche il resto dell’acqua con il lievito, e impastate nuovamente.
Aggiungete le olive tagliate a pezzettini (io le taglio al coltello, così ho dei pezzetti irregolari che danno un tocco di rustico che mi piace molto!).
Infine, aggiungete anche l’olio e impastate ancora, fino a che non raggiungerete una consistenza liscia e compatta.

Prendete il vostro impasto, ponetelo in una ciotola e copritelo con la pellicola.
Lasciatelo lievitare fino al raddoppio. La tempistica dipende dalla temperatura che avete in cucina, in generale tra 90 e 120 minuti.

Riprendete l’impasto, spolverate il piano di lavoro con un po’ di farina, e stendete l’impasto in forma rettangolare, a un’altezza intorno al mezzo centimetro.
Copritelo con la pellicola, o con un canovaccio, e fate riposare ancora una mezz’oretta.

Prendete un coltello (io mi trovo bene con la rotella tagliapizza, faccio più veloce!) e tagliate l’impasto in tanti bastoncini, e metteteli sulla teglia coperta di carta forno, leggermente distanziati. Ne riempirete circa tre teglie.
Potete lasciarli diritti o arrotolarli su se stessi. Io in questo caso li ho lasciati diritti.
Prendete un po’ di olio, e spennellate i grissini all’olio e olive sulla superficie, e poi spargete un po’ di sale fino sulla superficie dei grissini.

Cuocete i grissini in forno già caldo a 180 gradi per circa 20 minuti, poi lasciateli raffreddare in modo che si possano indurire.

Finito qui.
Ma quanto è semplice preparare in casa delle cose buone e che fanno anche bene?

Buoni come il pane… anzi, come i grissini!

Buoni come il pane… anzi, come i grissini!

Quanti proverbi conoscete che contengono la parola “pane”? Almeno una ventina vi verranno in mente senza nessuno sforzo. “Dire pane al pane“, “non è pane per i miei denti“, “guadagnarsi il pane“.. fino al più evangelico “non di solo pane…“.
Non hanno avuto la stessa sorte i grissini, che però hanno una nobilissima storia, e non potrebbe essere altrimenti visto che sono originari di Torino. La parola “grissino” deriva da ghërsa, un termine torinese che indica il pane di forma allungata, tipico della città. La storia ci racconta che i grissini nacquero alla fine del 1600, per far mangiare il piccolo Vittorio Amedeo II, futuro re inappetente (pare che fosse allergico al lievito).

Il successo fu immediato, e non solo a corte, tanto che da allora i grissini si diffusero pressoché ovunque in Italia. Si mangiano a colazione, a pranzo, cena… in ogni momento della giornata, insomma.
Stirati, robatà, all’olio, al sesamo, al finocchio… le varianti dei grissini sono innumerevoli, così come le forme, arrotolate, nodose, larghe, strette.

Ingredienti e forme a parte, i grissini sono amatissimi da chiunque. Vi sfido a trovare un solo italiano che al tavolo di un ristorante non abbia voracemente attaccato il misero pacchettino di grissini che viene offerto in attesa dell’arrivo del menù.

In questa lunghissima e nobile storia dei grissini mi inserisco umilmente anche io con la mia versione dei Grissini al farro all’olio, che si realizzano con una certa facilità, e che sto preparando ormai a nastro da qualche settimana. Ho fatto diverse prove prima di arrivare a una ricetta che tutti possano realizzare, con prodotti che si possono facilmente trovare in ogni casa (o comunque in ogni supermercato, per quanto piccolo possa essere).
L’importante è che l’olio che utilizzate sia un extravergine di oliva buono. Io ho approfittato per finire il mio amatissimo olio maremmano, l’ultima lattina acquistata la scorsa estate, che ha dato ai miei grissini un profumo e un gusto straordinari.

Provateli, ne vale davvero la pena.

Grissini di farro all’olio d’oliva
Ingredienti (per tre teglie di grissini):
500 gr di farina di farro
250 g di acqua tiepida
8 g lievito di birra
50 g olio EVO
8 g sale
olio e sale da mettere in superficie

Preparazione:
In una ciotola mettete la farina di farro (se non l’avete potete fare metà e metà di farina 00 e manitoba).
Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida (mi raccomando, non calda altrimenti “ucciderà” il lievito), e poi versatene una metà nella farina, e iniziate ad impastare.
Se avete la planetaria sarà facilissimo e non vi sporcherete nemmeno le mani, ma si può fare benissimo anche a mano.
Una volta che l’acqua si sarà assorbita, inserite anche il sale, e impastate di nuovo.
Poi aggiungete anche il resto dell’acqua con il lievito, e impastate nuovamente.
Infine, aggiungete anche l’olio e impastate ancora, fino a che non raggiungerete una consistenza liscia e compatta.

Prendete il vostro impasto, ponetelo in una ciotola e copritelo con della pellicola.
Lasciatelo lievitare fino al raddoppio della massa. La tempistica dipende dalla temperatura che avete in cucina. In estate potrebbe volerci un’oretta e mezza circa, magari d’inverno una mezz’oretta in più.

Riprendete l’impasto, spolverate il piano di lavoro con un po’ di farina, e stendete l’impasto in forma rettangolare, a un’altezza intorno al mezzo centimetro.
Copritelo con la pellicola, o con un canovaccio, e fate riposare ancora una mezz’oretta.

Prendete un coltello (io mi trovo bene con la rotella tagliapizza) e tagliate l’impasto in tanti bastoncini, e metteteli sulla teglia coperta di carta forno, leggermente distanziati. Con queste quantità, di solito ne escono tre teglie.
Potete lasciarli diritti o arrotolarli su se stessi. Nella foto ho usato un paio di forme diverse, ma vi assicuro che sono buoni in ogni forma.

Prendete un po’ di olio, e spennellate i grissini di farro all’olio sulla superficie, e poi spargete un po’ di sale fino sulla superficie dei grissini.

Cuocete i grissini in forno già caldo a 180 gradi per circa 20 minuti, poi lasciateli raffreddare in modo che si possano indurire.
Si conservano per diversi giorni, ma non vi so dire quanti perchè… sono finiti sempre in due giorni!

La Francia, per me. La fougasse provençale aux herbes

La Francia, per me. La fougasse provençale aux herbes

La strada verso ovest era inondata dal sole accecante di luglio. La lingua di asfalto correva tra mare e prati, ed io col finestrino abbassato e una stazione radio francese cantavamo all’aria una canzonetta estiva di tanti anni prima. Mi sentivo BB mentre tenevo il mio cappello di paglia contro il vento.

Ho parlato francese per anni prima di parlare davvero con un francese, e già per me questa cosa era un evento da ricordare. Era l’ultima estate dell’ultimo secolo, il mondo era un posto diverso, più analogico e forse un po’ più bello.

Era un tipico viaggio squattrinato, ma non mi sono persa l’assaggio della fougasse provençale, parente alla lontana della nostra focaccia, ma quasi sempre – nella versione provenzale – accompagnata da erbe, olive, formaggi, o lardon, se ci si vuole fare del male.

Erano tantissimi anni che non l’assaggiavo, ma complici i casi della vita, che non sono quasi mai casi, mi è tornata voglia di rifarla. Così, mentre ripasso il mio francese che ormai si è scalcagnato un po’ e ha bisogno di rinfresco più del lievito madre, ho infornato questa delizia.

Ci sono diverse versioni, naturalmente, perché anche Oltralpe ogni città ha la sua fougasse. Quella che vi propongo oggi è la più semplice e veloce che ci sia, presa (liberamente) dal libro “A table avec Marcel Pagnol”, così ho fatto anche esercizio di lingua francese. L’ho aromatizzata semplicemente con timo e rosmarino, due erbe che si trovano in Provenza ma anche da noi, e quindi è possibile realizzarla con davvero pochissimo sforzo.
Ho usato la farina di farro bio, che in questo periodo sto adorando, ma potete usare quella che volete naturalmente.
Fate la fougasse, e lasciate che il suo profumo di erbe e buon olio di oliva vi invadano la cucina.
Non ve ne pentirete!

Fougasse provençale aux herbes

Ingredienti (per una fougasse):
500 gr farina id farro (o quella che desiderate)
20 g lievito di birra fresco
30 g + 250 g acqua tiepida
30 g olio extravergine di oliva
1 cucchiaino di sale fino
rosmarino e timo a piacere

Preparazione:
Iniziate a preparare la vostra fougasse sciogliendo in 30 g di acqua tiepida il lievito di birra fresco. Lasciatelo attivarsi per una quindicina di minuti.

Nel frattempo, mettete in una ciotola (o nella planetaria) la farina di farro, l’olio di oliva, l’acqua tiepida (250 g) e il sale. Mescolateli brevemente, e poi – trascorsi i 15 minuti – versate anche il lievito sciolto nell’acqua.

Impastate per qualche minuto, fino a che l’impasto sarà liscio (o si staccherà dalle pareti della planetaria). Sarà ancora abbastanza morbido e leggermente appiccicoso, ma va bene così.

Ungete una ciotola, adagiatevi l’impasto della fougasse, coprite con la pellicola e fate lievitare fino al raddoppio (a seconda della temperatura esterna ci potrebbero volere da un’ora e mezza a due ore).

Scaldate il forno a una temperatura di 210 gradi.
Nel frattempo, riprendete l’impasto, e impastate nuovamente, incorporando le erbe (io ho messo due cucchiaini di rosmarino fresco tritato fine e uno di timo), e poi stendete l’impasto sulla carta forno con le mani, dando una forma simile a una foglia.

Prendete un coltello, o la rotella della pizza, e realizzate dei tagli che dovrete leggermente allargare con le dita così che rimangano anche in forno.

Spennellate di olio la superficie della fougasse e spargete del sale grosso sulla superficie.

Cuocete in forno per 25 minuti. Ricordate di mettere sul fondo del forno un piccolo contenitore pieno di acqua, in modo che la fougasse diventi soffice all’interno, ma croccante all’esterno.

Gustatela appena tiepida, con quello che volete. Anche da sola.
Credetemi, la rifarete.

Wool Roll Bread e i ricordi del lockdown

Wool Roll Bread e i ricordi del lockdown

Qui in Italia, la seconda settimana di marzo ha ancora nei ricordi il sinistro suono di quella musichetta terrificante con cui il Governo ci metteva in guardia dal virus, nei primi giorni dell’epidemia. L’11 marzo di due anni fa abbiamo chiuso tutto, abbiamo aperto i forni ed iniziato con poca farina e lievito di birra al mercato nero una nuova fase di vita della nostra povera umanità.
Rivedo me stessa mentre mi allaccio il grembiule nella mia piccola cucina rossa, guardando dalla finestra il cielo blu, e ascoltando il silenzio intorno, mentre fuori la primavera si prepara ai suoi colori, malgrado tutto – malgrado noi.

Ho seminato lenticchie e desideri.
Ho lasciato che mi mancassero le persone quelle vere, le abitudini giornaliere, gli abbracci e il cappuccino al tavolo del bar.
Ho lasciato che fossero le piccole cose a sorprendermi, quelle che in un giorno come tutti i giorni nemmeno vedi, mentre cammini a passo svelto verso il prossimo appuntamento.

Ho cucinato, tanto. Per non pensare e per pensare ad altro.

Ho imparato a lavorare in maniera diversa, a preoccuparmi di chi stava troppo lontano, ad avere paura e poi a non averne più.
Pensavo che ne saremmo usciti migliori, ma in realtà non ne siamo ancora usciti, e di migliorare nemmeno a parlarne. Però in quei giorni ho visto angoli di bellezza, solidarietà, sguardi pieni di sorrisi dietro le mascherine improvvisate. E ho immaginato che sì, la speranza c’è sempre che qualcosa migliori.
Non sarà ora, sarà tra un secolo. Ma l’umanità può essere migliore di quella che è, se solo fosse meno egoista.

Wool Roll Bread

Nei giorni del secondo lockdown, che in Italia è quello meno duro ma nel resto del mondo un po’ di più, ha iniziato ad impazzare il gomitolone. Null’altro che un pan brioche lievitato, dalla forma simile a un gomitolone di lana, ha fatto la sua comparsa nelle galleries di tutto l’Instagram.
Come sempre, capire da dove prendano l’avvio i trend che diventano virali è difficile.
Un anno dopo, sono (quasi!!) tutti d’accordo che il primo post del gomitolone sia arrivato da un blog malese, di nome Apron, che ha pubblicato su YouTube un video con cui realizzava questo lievitato.
Dico quasi tutti d’accordo, perchè i soliti adepti dello gné gné hanno trovato un video vietnamita di un anno prima che proponeva la stessa forma.

L’origine non è ormai più importante, dato che ormai il Wool Roll Bread ha spopolato ed imperversato per il tutto il 2021.
Io arrivo sempre per ultima, ma più per vezzo e scelta che non per chissà che motivo. Non avevo voglia di finire nel tritacarne del fare qualcosa perchè è di moda. Come sempre, del resto.

In realtà, stavolta mi sono trovata pentita di non averlo fatto prima, perchè il Wool Roll Bread è davvero buono.
Avevo avuto una mezza idea di farlo colorato, ma non sono più riuscita a trovare la confezione di tè matcha che avevo comprato e che ho perso in qualche scatolone della mia ristrutturazione. Quindi ve lo propongo qui nella versione facile e tradizionale. Se cercate su internet ne troverete di fogge e colori tra i più disparati.

Ho usato nell’impasto il latte condensato, che avevo già provato in un altro lievitato che trovate qui. Se non lo avete, potete provare con lo yogurt. Ormai, da quando l’ho provato per la prima volta, non ho più remore a metterlo anche nei lievitati, non solo nel gelato. Credetemi, ne vale la pena.

Ingredienti (per una teglia da 18 cm):
320 g farina (io ho fatto metà 00 e metà manitoba)
30 g zucchero semolato
4 g lievito di birra fresco
45 g latte condensato
165 g latte
25 g burro ammorbidito
5 g sale

per il ripieno potete usare marmellata, o crema alle nocciole… quel che volete (anche niente!)

Preparazione:
Mettete nella ciotola della impastatrice (o in una ciotola qualsiasi) la farina con lo zucchero, il sale, il lievito sciolto nel latte che deve essere o leggermente tiepido o a temperatura ambiente ma non freddo, e il latte condensato.
Così, date una giratina senza impastare e lasciate riposare venti minuti.

Poi riprendete l’impasto e impastate per sul serio. Se avete la planetaria, usate la velocità più bassa.

Incorporate il burro e impastate per una decina di minuti – deve diventare bello morbido anche se sarà un po’ appiccicaticcio.

Mettete l’impasto in una terrina, copritela con la pellicola e fate lievitare fino al raddoppio (la velocità dipende dalla temperatura che c’è a casa vostra, d’estate in un’ora è già pronto, d’inverno ci vuole un po’ di più).

Mettete un po’ di farina sul piano di lavoro e dividete l’impasto in quattro parti, facendo delle palline, che dovete lasciar riposare dieci minuti.

Nel frattempo, prendete la vostra teglia e foderatela con la carta forno.

Quando riprenderete le palline di impasto, stendetele in rettangoli (vi dico una misura approssimativa, diciamo 24 x 14 cm, ma onestamente sono andata un po’ a occhio).

Prendete un coltellino e tagliate una delle due estremità (lato corto) dei vostri rettangoli in tante striscioline fino ad arrivare a metà del rettangolo. Nella metà non tagliata, mettete un po’ di marmellata o altro ripieno che avrete scelto, e arrotolate il rettangolo su se stesso, in modo che le striscioline che avete tagliato in precedenza finiscano nella parte superiore. Vi verrà un salsicciottino.

Usate lo stesso procedimento per tutte le palline, e poi adagiatele nella teglia seguendo il bordo, e lasciando quindi uno spazio al centro.
Coprite ancora con della pellicola e lasciate lievitare fino al raddoppio.

Accendete il forno a 180 gradi (statico) e quando avrà raggiunto la temperatura, spennellate la superficie del vostro Wool Roll Bread con del latte condensato e cuocetelo per circa una mezz’ora, max 35 minuti.

I pangoccioli e una mattina di pace

I pangoccioli e una mattina di pace

Dalle finestre della mia nuova cucina la luce entra intensa, e in queste mattine di tardo inverno, senza una nuvola e con l’aria frizzante, guardo fuori mentre lascio che i raggi mi scaldino la casa e le braccia. Strizzo un po’ gli occhi nel bagliore, mentre osservo in silenzio la mia tazza.

Uno dei pangoccioli fatti la sera prima in una mano, ancora profumato e fragrante come appena tolto dal forno.  Fisso la schiuma del cappuccino e ascolto. Il silenzio.

Il silenzio che questa mattina non c’è a Kiev, dove fischiano bombe e allarmi antiaerei, dove la gente piange negli scantinati la stessa lacrima di quelli che stano lontani, col cuore straziato. Non mi interessa sentire ragioni, né le ragioni. Voglio solo sentire il silenzio. Voglio una colazione di una mattina qualunque per tutti, col sole giallo che entra dalla finestra, il cielo blu e fuori il silenzio.

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Questo mi dice tutto quello che c’è da sapere.

Questi Pangoccioli Vegani sono leggeri e buonissimi, meriterebbero una introduzione più allegra. Ma sono tempi grami, questi. Lasciamo entrare la dolcezza con questi sofficissimi panini, e speriamo che finisca presto.

Ingredienti:

250 g Farina 00
250 g farina manitoba
300 g latte di mandorla
90 g gocce di cioccolato
20 g lievito di birra fresco
80 g zucchero
30 g olio
1 cucchiaino sale
1 bustina di vanillina

Procedimento:

Anzitutto, mettete al freezer per mezz’ora le gocce di cioccolato, così si deformeranno di meno in fase di cottura.
In una ciotola (anche quella della planetaria) mettete le farine e mescolate.

In un’altra ciotola sciogliete il lievito di birra in metà quantità (presa dal totale) del latte di mandorla (va bene anche quello di avena o di riso, come preferite) appena tiepido, con un cucchiaino di zucchero, anch’esso preso dal totale.

Una volta che si sarà sciolto, aggiungete il latte con sciolto il lievito nelle farine, e poi unite lo zucchero rimasto, l’alta metà del latte (al massimo a temperatura ambiente o un po’ tiepido, non freddo di frigo), il sale, la vanillina e l’olio, e impastate.

Ci vorrà un pochino, perchè l’impasto deve essere ben liscio ed incordato. Solo per ultimo inserite anche le gocce di cioccolato e finite di impastare.

Ponete l’impasto in una ciotola, copritelo con della pellicola e lasciatelo lievitare fino al raddoppio (dipende dalla temperatura a casa vostra, il mio dopo 90 minuti era pronto).

Riprendete l’impasto, e dividetelo in panetti di circa 50 grammi cadauno. Dategli la forma di un panino tondo, e poggiateli sulla teglia già coperta con carta forno. Distanziateli un po’ perchè cresceranno leggermente.

Coprite i pangoccioli con un canovaccio e fate raddoppiare ancora di volume (tra i 90 e i 120 minuti).

Poi scaldate il forno a 200 gradi, e ponete a cuocere i pangoccioli per circa 10 minuti.

Brioches girella all’arancia e i buoni propositi

Brioches girella all’arancia e i buoni propositi

Quest’anno mi sono guardata bene dal fare liste di buoni propositi, auspici, desideri. Mi sono limitata a stare lì, pigiamata, col naso appiccicato alla finestra a guardare i fuochi di artificio la notte di Capodanno, senza un solo pensiero ad attraversare la mente.
Poi ho abbassato le tapparelle, mi sono rintanata sotto il piumone, e mi sono sentita in beatitudine col mondo. Del resto, il tempo sospeso è così. Non c’è pressione del futuro, né peso del passato.

Gli ultimi anni sono stati una grande corsa senza fiato. Ho rincorso tutto, senza avere tempo per niente. Ho rincorso quello che la famiglia, la società, si aspettava da me. Anche quello che io stessa aspettavo da me. Non sempre ha coinciso con quello che realmente volevo, ma del resto correvo all’impazzata e non ho avuto nemmeno il tempo di chiedermelo.

Sono stata in ritardo anche a scrivere le ricette. Ho pubblicato foto brutte perché avevo perso l’ispirazione, e poi mi sono arrabbiata perché lo sapevo che erano brutte, ma la ispirazione non la riuscivo più a trovare. Mi sono rimessa a scrivere, ma poi mi sono ricordata che scrivere costa fatica, e poi non sempre ho qualcosa da dire.

Eppure in questo gennaio mi si è aperta una luce, una nuova sfida. Il Veganuary 2022 per me è stato questo, un misurarmi nuovo con la pasticceria vegana. Nuove idee, nuova voglia di mettermi in gioco e di sperimentare. Ma senza fretta, perché i lievitati chiamano pazienza.

Le brioches girella all’arancia sono state il risultato (riuscito!) dell’ultimo weekend di pasticci in cucina. Sto ancora misurandomi con il nuovo forno, che si spegne improvvisamente da solo quando decide che la torta è cotta (non lo è). Quindi ho sorvegliato a vista queste splendide brioches, e le ho viste prendere il colore dorato dell’impasto con lampi di luce della marmellata di arance, gocce traslucenti nella penombra del forno.

Queste brioches sono una piccola evoluzione delle Brioches sfogliate vegane che trovate qui . Non sono difficili, anzi.
Potete naturalmente farcirle con tutte le confetture che volete, la crema di nocciole… spazio alla fantasia!
A ogni stagione il suo ripieno, ed avrete delle fragranti brioches profumatissime per la vostra colazione, in versione vegan.

Ingredienti (per circa 8/9 brioches):
150 g farina di farro
150 g farina 00
150 ml di latte di mandorla intiepidito
8 g lievito di birra
40 ml olio di semi
la scorza di un’arancia (o limone) bio
3/4 cucchiai di marmellata di arance (o altra confettura)
1 cucchiaio di sciroppo di agave

Procedimento:
Intiepidite il latte leggermente e scioglietevi il lievito di birra all’interno.
Nella ciotola della planetaria (o in una ciotola qualsiasi) versate le due farine, mescolatele tra loro, e poi versare il latte con il lievito sciolto, l’olio e la scorza dell’agrume di vostra scelta.

Iniziate ad impastare. L’impasto potrebbe risultare poco elastico, ma dovete insistere (se avete la planetaria sarà più semplice) perchè alla fine tutto verrà insieme ed avrete un impasto abbastanza liscio.

Mettete l’impasto in una ciotola pulita, copritelo con la pellicola e fatelo lievitare fino al raddoppio.
Dipende dalla temperatura di casa vostra, di solito ci vogliono un paio di ore.

Riprendete l’impasto, e stendetelo con l’aiuto di un matterello a forma rettangolare. Stendete poi la marmellata sull’impasto, tenendovi a distanza di circa un centimetro dal bordo.

Arrotolate l’impasto, sigillate l’ultimo lembo premendo leggermente e poi, con un coltello affilato o con l’aiuto di un filo interdentale (fa meraviglie!) tagliate delle rotelle di impasto dell’altezza di circ due o tre dita.

Mettete le brioches girella sulla placca del forno coperta di carta forno, e lasciate lievitare ancora per circa un’ora, ancora coperte dalla pellicola.

Fate andare il forno in temperatura a 180 gradi, e cuocete le vostre brioches girella all’arancia per una ventina di minuti.

Appena le brioches girella all’arancia sono cotte, estraetele dal forno e spennellatele ancora calde con dello sciroppo di agave. Se lo sciroppo fosse molto denso, scaldatelo per brevissimo tempo per liquefarlo.

Lasciate raffreddare e poi gustate le vostre stupende brioches girella all’arancia.

Pane al pane (ma senza glutine!)

Pane al pane (ma senza glutine!)

La panificazione senza glutine è una bella gatta da pelare. Usare una materia prima che non sviluppa, ça va sans dire, la maglia glutinica è un inferno per la lievitazione.
Inutile cercare la chimera della alveolatura perfetta.
Inutile avere in testa la perfezione della vostra ciabattina glutinata (o qualsiasi altro pane abbiate in mente).

Solo una volta fatta pace col fatto che, comunque, il pane senza glutine non sarà mai uguale al pane con materia prima glutinata, saremo pronti per affrontare lo splendido viaggio nei lievitati gluten free. Via pregiudizi, supposizioni, ipotesi. Mente fresca e pronta all’ignoto!

Anni fa feci un corso di panificazione senza glutine. A mio padre era stata appena diagnosticata la malattia celiaca, alla veneranda età di settantadue anni settantadue, dopo decenni in cui stava malissimo senza una apparente spiegazione. Lì ebbe inizio la nostra avventura famigliare nel gluten free, e il primo prodotto acquistato oltra alla pasta fu proprio il pane. Ma, appena aperto il sacchetto.. panico! L’odore degli alcoli conservanti era così forte da impedirci quasi di mangiarlo prima di averlo lasciato arieggiare per mezz’ora.

Questa fu la molla che mi spinse a iniziare ad armeggiare nel fai da te senza glutine, e da lì al corso il passo fu abbastanza breve. Ovviamente il corso insegnava a usare le materie prime pure.
Ma mi rendo conto che tanti non hanno il tempo, o la voglia, o la possibilità economica, di acquistare le farine senza glutine. E ancora molti di più pensano che non sia il caso di acquistare teff, amaranto o altre farine che si usano una sola volta e poi restano gli scartoccini coi resti a scadere nel fondo delle credenze.

Questa ricetta che vi propongo oggi è piuttosto elementare, e la si può realizzare con qualsiasi mix di farine senza glutine (purchè sia o un universale o specifico per il pane). Potete anche usare la miscela dei rimasugli dei mix senza glutine che avete nelle vostre credenze. Siccome mi piace il rustico (e la ricetta di partenza era fatta con farina integrale) io aggiungo sempre un po’ di grano saraceno. Potete anche ometterlo se non lo avete, o se non vi piace. L’importante è che la quantità i secchi resti uguale.

Una particolarità dei mix senza glutine è che marche diverse hanno un diverso assorbimento dei liquidi.
Quindi vi invito comunque a buttare un occhio sulla consistenza dell’impasto, aggiungendo magari qualcosina se la marca di vostra scelta o disponibilità dovesse assorbirne di più. Lo so, è un altro grattacapo, ma ve l’avevo detto … non è facile, ma è molto gratificante!

Ingredienti (per un filoncino da circa un chilo):
350 g mix di farine senza glutine
70 g farina di grano saraceno (se non vi piace, aggiungete la stessa quantità di altra farina gluten free)
5 g lievito di birra fresco
300 g di acqua appena tiepida
10 g miele
3 cucchiai di olio di oliva

Procedimento:

Iniziate a preparare il vostro pane al grano saraceno sciogliendo il lievito nell’acqua, e aggiungete poi il miele.Mescolate e tenete da parte.

In un’altra ciotola mettete il mix senza glutine e la farina di grano saraceno, mescolate e poi unite i liquidi. Fate assorbire impastando (potete anche usare una forchetta, se volete).

Infine, quando l’acqua sarà stata assorbita tutta dalla farina, aggiungete il sale e l’olio.
Impastate ancora fino a che l’impasto non sarà compatto, anche se leggermente appiccicoso.

Mettetelo quindi in una ciotola leggermente unta di olio, copritela con pellicola e fate lievitare il tutto per circa 8 ore (il minimo sono sei ore, non di meno).

Io lo lascio tutta la notta, se dovesse fare molto caldo potete anche mettere l’impasto nel frigorifero.

Trascorso il tempo di lievitazione, riprendete il vostro impasto.
Con un tarocco leggermente unto staccatelo dalla ciotola, e adagiatelo su un foglio di carta forno spolverato di farina di riso. Stendetelo con le mani a formare un rettangolo e piegate prima i lembi laterali verso il centro, e poi verso il centro piegate anche la parte sopra e sotto, a formare una sorta di salsicciotto.

Scaldate il forno alla massima potenza, lasciando la leccarda sul fondo e adagiandovi un paio di pirottini di alluminio (di quelli usa e getta) con dell’acqua all’interno in modo da creare il vapore nel forno (se avete un forno con cottura a vapore non vi servirà). Quando arriverà a temperatura, incidete la superficie del pane al grano saraceno e ponetelo nel forno a cuocere per 15 minuti.

Successivamente, abbassate la temperatura a circa 210/220 gradi e cuocetelo per un’altra mezz’ora.

Infine, completate la cottura del pane al grano saraceno abbassando ancora la temperatura del forno a 180 gradi, togliendo la leccarda con i pirottini pieni di acqua, e finite la cottura per altri 15 minuti.

Togliete il pane dal forno e fatelo raffreddare su una gratella prima di gustarlo.

Il celiaco di casa ha approvato quindi… testato con successo!

I gattini di Lucia (Lussekatter)

I gattini di Lucia (Lussekatter)

Come Santa Lucia e i suoi gatti siano arrivati nel profondo nord, e siano ora talmente venerati da avere una ricetta tutta loro, resta un mistero per me.
Generalmente, i luterani non sono dei grandi fan del parterre dei santi cattolico, anzi. Il fatto che abbiano adottato il culto di Santa Lucia (da Siracusa poi, quindi ancora più lontano dalle prima propaggini svedesi che.. che so, Campione d’Italia, per dire) in sé è già miracoloso. Che poi le dedichino anche una giornata di festeggiamenti, con le scuole che chiudono, i canti, le tradizioni casalinghe, e addirittura una ricetta dedicata, è sempre più sorprendente.

La tradizione di Lucia in Svezia prevede che al mattino la figlia più grande, vestita di bianco con una fusciacca rossa (simbolo del martirio di Lucia) e in capo una corona di candele accese (tranquilli, nel ventunesimo secolo sono a pile, quindi il Telefono Azzurro può tirare un sospiro di sollievo), serva al resto della famiglia i Lussekatter, dei piccoli lievitati semidolci profumati allo zafferano. L’aria si riempie del dolce profumo della spezia gialla, luminosa come il sole…
Ah sì, perchè in realtà Lucia è il festeggiamento del giorno più corto dell’anno che se ne va, e dal 14 dicembre le giornate tornano ad allungarsi ancora. E quindi Lucia porta la luce nelle buie giornate del profondo nord.

Purtroppo non ho idea di come i gatti siano finiti in questa ricetta. Bè, nel nome, per fortuna solo lì! La tradizione dice che la forma ad S dei Lussekatter sia un richiamo alla coda arrotolata dei gatti, ma cosa c’entrino con Lucia la Santa…
Niente, mi sfugge.

Qualsiasi cosa c’entrino, concedetevi stasera il profumo caldo dello zafferano, e assaporate qualche Lussekatter nella penombra del vostro soggiorno, sotto una copertina e una tisana fumante. E’ un lievitato molto semplice da realizzare, non è uno dei sapori più usuali nella nostra pasticceria e quindi vi invito a provarli. Vi stupiranno, Lucia e i suoi gatti.

Ingredienti (per 12 piccoli Lussekatter):
150 g farina manitoba
125 g farina 00
1 bustina zafferano (circa 0,60 g)
50 g zucchero semolato
1 pizzico di sale
50 g burro
125 ml latte
7 g lievito di birra fresco
1 uovo
uvetta per guarnire (io non l’avevo e ho usato mezze nocciole, ma vabbè)

Preparazione:
Iniziate a preparare i Lussekatter sciogliendo nel latte il burro. Non deve bollire, solo scaldarsi per permettere al burro di fondere dolcemente. Aggiungete anche lo zafferano, mescolate bene e lasciate a riprendere la temperatura ambiente.

Nel frattempo mettete nella planetaria (o in una ciotola) le farine (manitoba e 00), sciogliete il lievito nel latte col burro che si sarà ormai freddato, e versatelo nelle farine.
Iniziate ad impastare, usando il gancio (o a mano).

Quando il latte si sarà assorbito, incorporate lo zucchero e l’uovo (ma solo metà). Come, metà? Esattamente. Rompete un uovo in una ciotola, e pesatelo, e poi mettetene metà nell’impasto. Quello che rimane servirà per spennellare i Lussekatter prima di infornarli.

Infine, aggiungete anche il sale.

Quando l’impasto si sarà ben incordato, mettete l’impasto a lievitare. Deve raddoppiare di volume, e la lievitazione dipende da quanto calda è la vostra casa. In generale, da due o tre ore dovrebbe bastare.
Copritelo con la pellicola alimentare, così non si formerà quella antipatica crosticina.

Riprendete quindi l’impasto, e dividetelo in tante parti uguali (più o meno 40 grammi la pezzatura). Fate dei filoncini con ciascuna pallina di impasto, più o meno lunghi 25 cm, e arricciateli a forma di S, mettendo al centro di ogni spirale un’uvetta, che avrete fatto rinvenire nell’acqua calda. Io ho usato delle nocciole, potete usare anche dei mirtilli rossi disidratati.

Mettete ogni Lussekatter sulla teglia coperta di carta forno, distanziateli leggermente, e poi copriteli con un panno pulito e fateli lievitare ancora un’oretta.
Mentre aspettate che il forno si scaldi, spennellate la superficie dei Lussekatter un l’uovo rimasto, allungato con qualche goccia di latte.
Mettete i Lussekatter in forno caldo a 220 gradi per circa 10 minuti.

Controllate sempre, perchè ogni forno è diverso. Potrebbe volerci qualche minuto in più.
I Lussekatter sono pronti quando la superficie sarò dorata. Nel frattempo, mentre aspettate, godetevi il profumo di zafferano che si spargerà in casa.

Volete un’altra idea di lievitato con lo zafferano? Provate la Challah!