Granola vegana alle mele, ovvero perdere la testa per una ricetta facilissima

Granola vegana alle mele, ovvero perdere la testa per una ricetta facilissima

Ditemi, quante volte avete comprato la granola al supermercato? Sapete quella dentro quelle belle buste colorate di una nota marca di cereali, ce ne sono di gusti diversi – cioccolato, frutta secca, nocciole… una più golosa dell’altra?
Ve lo dico io: centinaia. E, se siete come me, anche migliaia.
Mi piace la granola. La sgranocchio in ogni momento della giornata, non solo a colazione. Quando sento un buchino, quando ho voglia di qualcosa di dolce ma di poco impegnativo, quando… niente, quando ho fame.

Per quanta ne abbia acquistata e mangiata, non l’avevo mai fatta a casa. E non sapete che errore!
Tempo fa sui social era tutto un tripudio di granola, tant’è che mi era sparita perfino la voglia di provarla, da quanta ne avevo vista in giro. Però, come spesso mi accade, appena una ricetta esce dal radar de “lo fanno tutti“, ecco che mi viene la curiosità e la provo.

Questa ricetta l’ho fatta e rifatta un sacco di volte negli ultimi due mesi. Ho provato le temperature, i mix di frutta secca e disidratata, i tempi di cottura. A parte un breve passaggio bruciacchiato, questa ricetta non mi ha mai tradito, e quindi oggi vi lascio le quantità e i passaggi che ho usato l’ultima volta.
Questa versione è quella della Granola vegana alle mele, con cui saluto la stagione autunnale e mi preparo a tirare fuori dagli armadi alberelli di Natale, tagliabiscotti, corone di abeti e nastri a profusione.

Nel mio supermercato ci sono diverse buste pre-pesate con mix di frutta secca e disidratata, e quindi se sono di fretta prendo quelle. Ma potete usare anche i rimasugli dei pacchettini di frutta secca che avete in casa, e anzi è un ottimo modo per realizzare un riciclo magari non tanto creativo, ma sicuramente buonissimo.

Ovviamente potete acquistare la frutta disidratata a parte. Io le mele le ho cotte nella friggitrice ad aria (la mia nuova ossessione): sono diventate delle chips dolcissime e deliziose, che hanno arricchito la mia granola autunnale. Ma basta cambiare stagione perchè facciano capolino fragole disidratate, cocco o ananas.. insomma, una granola per tutte le stagioni, e soprattutto vegana.

Granola Vegana alle Mele
Ingredienti:

Per lo sciroppo:
60 g acqua
60 g sciroppo di agave (potete usare anche lo sciroppo di acacia)
30 g olio di riso (o comunque un olio di gusto non forte)
3 cucchiai colmi di zucchero di canna (ma anche semolato, se non avete l’altro)

Per la granola:
150 g fiocchi di avena
200 g di frutta secca a scelta (nocciole, noci, mandorle, noci pecan, pistacchi… quel che avete va bene)
80 g di frutta disidratata (in questa versione metà quantità sono di uvetta, e l’altra metà chips di mele)

Preparazione:

La Granola Vegana alle Mele è facilissima. Prima di tutto, se usate l’uvetta mettetela a bagno a rinvenire qualche minuto.
Se non usate le chips di mela del supermercato le potete preparare tagliandole a fettine sottilissime (una volta private del torsolo) e cuocendole alla friggitrice ad aria. Le tempistiche variano a seconda della vostra tipologia di fornetto, io le ho cotte a 180 gradi per 5 minuti e a 160 per altri 5. Copritele quando cuociono con qualcosa (io ho usato la grata del microonde) perchè nella friggitrice ad aria… l’aria le fa volare e bruciare!

Mentre l’uvetta di riprende e le mele si raffreddano, tagliate la frutta secca al coltello. Io la faccio di diverse dimensioni, mi piace che in parte sia piccolissima e in parte sia grande abbastanza da scrocchiare sotto i denti. Mettete da parte.

Preparate lo sciroppo, mettendo in una padella abbastanza capiente (dovrà poi contenere l’avena e la frutta secca!) l’acqua, lo sciroppo di agave, lo zucchero e l’olio. Portate a sfiorare il bollore e cuocete per qualche minuto, fino a che non sarà sciolto tutto lo zucchero al suo interno.

A questo punto, versate nello sciroppo caldo i fiocchi d’avena e la frutta secca, e mescolate bene con un cucchiaio per amalgamare il tutto.

Stendete il composto su una teglia coperta di carta forno, cercando di spandere la granola sulla teglia il più possibile e mettete a cuocere in forno già caldo a 175 gradi per circa 25/30 minuti.

Io ogni 5 minuti tolgo la teglia dal forno e rimescolo la granola, per essere sicura che si dori alla perfezione.

Circa 5 minuti prima del termine della cottura, inserisco nella granola anche la frutta disidratata (mela e uvetta ben scolata e strizzata).

Confettura di pesche nettarine e more e la fine dell’estate

Confettura di pesche nettarine e more e la fine dell’estate

Scrivo sotto il primo vero temporale di agosto. Quello descritto meravigliosamente dalle ultime scene del film “Sapore di Mare” (il primo, correva l’anno 1983), e dal voice over che faceva più o meno così: “Poi, improvvisamente, l’estate finiva. Da Ponente arrivavano grandi nuvole grigie cariche di pioggia, e gli odori acri della pineta si tramutavano in folate di vento freddo”.

Oggi, improvvisamente, è finita anche questa estate. Quella cattiva, dei 41 gradi di giovedì 24 agosto, e del tornado che ha distrutto alberi e tetti del 25 luglio, e del covid che mi ha accorciato le vacanze e mi fa tornare più stanca di quando sono partita. Quella che tra febbre e caldo mi ha fatto sudare anche l’acqua del battesimo.

Ma la fine dell’estate è, per me, anche il momento delle confetture.
Durante le mie estati in Maremma, mi do allo sport estivo più pericoloso per eccellenza, ovvero la raccolta delle more di rovo selvatiche – tra spine, rovi, zanzare, ragni, api, vespe e altri felici insetti, uscirne vivi con un discreto bottino è uno sport che manco una gara di gran fondo… scànsate.

Quest’anno ne ho raccolte un po’, ma non abbastanza per fare una produzione di conserve degna di questo nome. Quindi sono andata di produzione solo casalinga, da consumare quasi istantaneamente. Poiché non avevo comunque abbastanza more selvatiche, ho tentato un matrimonio che si è rivelato eccellente, cioè quello con le pesche nettarine e il limone. Così sono arrivata a riempire due vasetti da circa 330 ml di confettura, che ho già gustato a colazione, ottenendo anche recensioni così lusinghiere che mi hanno convinta a rifarla (pesando bene gli ingredienti!) e a condividere la ricetta.

La Confettura di pesche nettarine e more è la sintesi della stagione estiva, e vi aiuterà a ricordare tutti i sapori di questa stagione calda e piena di luce, anche nei pomeriggi grigi del prossimo inverno.

Prima di iniziare con la ricetta, ricordate che i vasetti per la confettura vanno sterilizzati bene! Io li lavo per togliere la polvere, e poi li metto a bollire coperti di acqua all’interno di una casseruola per almeno 15/20 minuti, e poi li faccio asciugare capovolti su un canovaccio ben pulito (anche i coperchi, i raccomando!).
NB: i coperchi vanno presi sempre nuovi – non si riciclano quelli usati!

Confettura di pesche nettarine e more (per due vasetti da circa 330 ml ciascuno)
Ingredienti:
3 pesche nettarine (le mie le ho pesate sbucciate e denocciolate ed erano circa 390 grammi)
125 gr more (potete usare anche quelle del supermercato)
Un limone bio (dovete usare anche le zeste)
100 gr zucchero di canna chiaro 8va bene anche quello semolato)

Procedimento:
Per preparare la Confettura di pesche nettarine e more lavate prima bene la frutta sotto l’acqua, eliminando eventuali residui. Le more sono molto delicate, quindi fate attenzione. Fatele asciugare tamponandole con un canovaccio oppure con della carta da cucina.
Lavate anche le pesche nettarine, asciugatele, togliete la buccia e il nocciolo e tagliatele a tocchettini.

Mettetele in una piccola casseruola (io uso una casseruola antiaderente), con le more, la buccia del limone tagliata a pezzettoni (mi raccomando, non con la parte bianca perché rederà tutto amaro!), e il succo del limone. Aggiungete anche lo zucchero e mescolate per amalgamare tutti gli ingredienti. Coprite con il coperchio (o un piatto, se il coperchio non lo avete) e mettete in frigo a macerare per un’ora.

Trascorsa l’ora, mettete la vostra casseruola sul fuoco (medio), e mescolate di tanto in tanto. Se vedete che la confettura inizia a fare una schuimetta bianca, potete levarla con una schiumarola.

Cuocete fino a che la frutta non inizia a sfaldarsi. A questo punto, potete togliere la casseruola dal fuoco e passare la confettura al minipimer (se vi piacciono i pezzettoni, potete anche schiacciare la frutta con la forchetta). Rimettete ancora sul fuoco per circa 5 minuti.
Io non lo tolgo il limone (le zeste, ovviamente) perchè mi piace molto incontrare il gusto del limone con pesche e more. Se a voi non dovesse piacere tanto, potreste anche toglierle ora (vi ho fatto lasciare dei pezzettoni apposta, così è più semplice eliminarle).

Io vado un po’ a occhio (lo so, non è molto professionale per una che scrive ricette, ma sono onesta), ma quest’anno ho voluto il provare il metodo empirico delle nonne, che consiste nel versare un po’ di confettura su un piattino freddo da congelatore. Se inclinando il piattino la confettura non scivola via, vuol dire che è pronta per essere messa nei vasetti.

Riempite quindi i vostri vasetti già sterilizzati con la confettura bollente (attenti alle mani!), lasciando un dito dal bordo. Mettete quindi i vasetti a testa in giù a far raffreddare (si formerà così il sottovuoto).

Conservate in un luogo riparato. Poiché non c’è tantissimo zucchero, consiglio sempre di consumarli entro pochi mesi dalla preparazione.

Biscotti vegani all’avena con frutta secca

Biscotti vegani all’avena con frutta secca

Capita anche a voi di rifare le ricette trovate su riviste e giornali, e di accorgervi a un certo punto che c’è qualcosa che non va? Può essere la quantità di liquidi, i secchi, la lievitazione. Qualsiasi cosa sia, ci si trova di fronte a qualcosa informe e ingestibile, che ci fa chiedere: ma chi ha scritto questa ricetta, l’avrà mai fatta?

La domanda è legittima, e la risposta non può essere sempre sì. Mi sento però di spezzare una lancia agli scrittori di ricette, tra cui ci mi metto (in maniera del tutto sporadica e non professionale). Una delle ragioni per cui le ricette possono non venire sta in una verità assolutamente banale: non tutte le farine sono uguali. Ci sono differenze tra marca e marca, e tra farina e farina. Non si può pensare di sostituire la farina 00 con la farina integrale pensando che la quantità di liquidi debba rimanere la medesima.
La chimica è chimica, e non ci lascia scampo.

La dimostrazione di questo banalissimo principio chimico è servito su un vassoio (o su un piatto!) da questi Biscotti vegani all’avena e frutta secca, in cui sono stata davvero in imbarazzo a indicare la quantità di bevanda vegetale. La ragione è semplicissima: dipende dalla farina di avena che viene usata. Ci sono farine di avena molto “assetate” che tendono ad assorbire molto. Ho cambiato due marche di farina di avena avendo due risultati diversi. Non comprendevo la ragione, e mi intestardivo a voler mettere sempre la stessa quantità, con risultati deludenti.
Mi sono arresa: a volta, anche in cucina, bisogna che la ricetta parli da sé.

Per questo vi darò, per i liquidi, delle quantità indicative. Lo so che i meno esperti la troveranno una follia, ma vi assicuro che è una pazzia necessaria. Impastate fino a che il tutto non diventerà compatto e non più appiccicoso, e fermatevi lì. Anche se non avrete messo tutti i liquidi. Vuol dire che la vostra farina non assorbe tanto. Magari invece sarà necessaria più bevanda vegetale. Ripeto, lasciate che le vostre farine vi parlino.
Del resto, parliamo con le piante e gli animali.. perchè non con le farine?

Biscotti vegani all’avena e frutta secca
Ingredienti:
100 g farina di avena
150 g farina 00
50 g farina di frutta secca (potete fare tutte nocciole o mandorle, o noci, o metà e metà)
50 ml olio di semi
50 ml bevanda vegetale (io latte di mandorle)
50 ml sciroppo di agave
50 g zucchero di canna chiaro
4 g lievito per dolci

per coprire (eventuale):
100 g cioccolato fondente
qualche manciata di mandorle a lamelle

Preparazione:
Mettete in una ciotola gli ingredienti secchi (farina di avena e farina 00, oltre al lievito e allo zucchero) e amalgamate.
Inserite quindi i liquidi, iniziando dall’olio, per poi continuare con lo sciroppo di agave. Iniziate ad impastare.
Solo a questo punto (mi raccomando, rispettate questo ordine!) iniziate ad introdurre nell’impasto il latte vegetale. Mettetelo a poco a poco, così potrete apprezzare l’assorbimento del latte vegetale da parte del mix di farine. Ho usato la farina di avena del Molino Rossetto e la farina 00 anti grumi, e per questo mix mi sono stati sufficienti 50 ml di latte di mandorla (potete scegliere anche quello alla soia, alle nocciole…).

Quando l’impasto non sarà più appiccicoso, lasciatelo riposare una mezz’ora a temperatura ambiente.

Riprendete il vostro impasto e stendetelo con l’aiuto di un matterello con uno spessore di circa 5 millimetri. Tagliate i vostri Biscotti vegani all’avena e frutta secca con un tagliabiscotti di vostra scelta. Io ho usato il cuore, anche perchè San Valentino si avvicina a passi veloci. Ma potete optare per un tradizionale stampino rotondo.

Ponete i Biscotti vegani all’avena e frutta secca sulla teglia coperta di carta forno e cuocete in forno già caldo a 180 gradi per circa 12 minuti. Devono essere leggermente colorati, ma non scuri.

Lasciate raffreddare su una gratella, e nel frattempo sciogliete a bagnomaria 100 g di cioccolato e quando si sarà liquefatto potete intingere i biscotti. Fate scolare il cioccolato, ponete nuovamente i Biscotti vegani all’avena e frutta secca ad asciugare sulla gratella, e se lo gradite spolverate il cioccolato con qualche lamella di mandorle.

Potete anche gustarli senza cioccolato, o con un velo di zucchero a velo.

Ricotta di mandorle. Ma esiste il formaggio vegano?

Ricotta di mandorle. Ma esiste il formaggio vegano?

Sono ormai cinque anni che, per me, gennaio è sinonimo di Veganuary. Vi avevo già brevemente raccontato quando e come è nato Veganuary, e soprattutto perchè. Trovate l’articolo del blog in cui ne parlo proprio qui.

Arrivato anche questo gennaio 2023, dopo cinque anni di ricette, esperimenti e tentativi vari, avevo bisogno di una sfida nuova, e l’ho buttata sul caseario. Così, per partire col botto, insomma.

Sono anni che vorrei fare la ricotta vaccina fatta in casa. E’ un latticino (non formaggio!) abbastanza semplice da fare anche a casa. Il processo di coagulazione si può benissimo fare a casa, basta un termometro da cucina, e un acido, di solito il limone. La ricotta che compriamo al supermercato è poi anche (per l’appunto) ri-cotta, ma la cagliata che si ottiene è abbastanza simile al prodotto originale.

Ma poi mi sono imbattuta in un articolo di La Cucina Italiana, che parlava della Ricotta di mandorle, e di come fosse un prodotto semplice da fare a casa, e mi sono detta: perché no?
Sono stata in dubbio se chiamarla o meno Ricotta di mandorle, e il motivo è presto detto. I sostituti dei prodotti caseari con prodotti plantbased non sarebbero da chiamare formaggi. Quindi, per la proprietà transitoria, se la ricotta è latticino, una cagliata simile ma ricavata dalle mandorle la dovrei chiamare… boh. Non mi veniva in mente niente. Prodotto vegano simile a ricotta ma fatto con le mandorle? Un titolo SEO lungo come un romanzo.
In più, come mi ha raccontato la mia amica Letizia del blog Senza è Buono, ci sono là fuori orde di difensori dei latticini dall’offesa facile in quanto all’uso del termine formaggio. Epperò… niente, non mi viene in mente niente. Lasciatemela chiamare Ricotta di mandorle, e abbiate pietà.

Se la doveste provare, sono sicura che mi perdonereste. La Ricotta di mandorle si fa semplicemente, partendo da tre ingredienti: mandorle (pelate), acqua e limone. Se volete potete aggiungere il sale, specie se intendete usarla come se fosse formaggio (spero vada bene così!). Io l’ho adorata spalmata sul pane a colazione, con un filo di sciroppo di agave (se non siete vegani va benissimo anche il miele) e qualche mandorla per il crunch che dà sempre tanta soddisfazione. Non dovete per forza essere vegani per amarla.

Queste quantità sono per due fuscelle da circa 200/250 grammi. Si trovano online, oppure potete usare anche quelle di riciclo delle ricotte acquistate in salumeria. L’importante è che abbiano i fori per lasciare scolare il siero.

Ricotta di mandorle
Ingredienti:

200 g di mandorle pelate
900 g acqua
40 g succo di limone
(eventualmente il sale)

Preparazione:
La sera precedente dovete mettere a bagno le mandorle nell’acqua. Non ne serve tanta, basta che siano coperte per bene e ci sia un dito di acqua sopra di esse.
Devono stare a mollo almeno otto ore, quindi vi consiglio di metterle a mollo, spegnere la luce e andarvi a fare un bel sonno ristoratore. Tanto non scappano!

Prendete quindi un frullatore, dopo che vi sarete svegliati e ben riposati, mettete nel bicchiere le mandorle senza l’acqua (so che alcuni lasciano l’acqua di governo, ma io ogni tanto ci trovo della schiumetta che non mi piace, quindi butto), e aggiungete 500 g di acqua.
Frullate alla massima potenza per qualche minuto, fino a che non si sarà formato il latte di mandorle. Le mandorle ben bagnate si sfalderanno con facilità.
Aggiungete quindi altri 400 g di acqua, e azionate ancora il frullatore per un minuto, giusto il tempo di amalgamare il tutto.

Prendete quindi un piccolo tegame, sufficientemente ampio da contenere il latte di mandorle che avete appena fatto, e portatelo al bollore.
Appena inizia a bollire, spegnete subito, e versate nel latte di mandorla il succo del limone.

Mescolate molto bene, in modo che il succo possa far cagliare il latte di mandorla.

Prendete quindi una bacinella, appoggiatevi sopra un colino (io ho usato uno scolapasta con la trama abbastanza fitta), copritelo con un telo di cotone (o una garza, ce ne sono alcune in commercio. Io ho usato uno strofinaccio di cotone), e facendo attenzione versate il contenuto del tegame piano, in modo che la parte acquosa (se fosse un latticino avrei detto il siero) inizi a colare, lasciando affiorare (ma l’avrete, a questo punto, già vista da voi!) la cagliata.
Se gradite, aggiungete il sale.

Fate sgocciolare qualche ora. A mano a mano che passa il tempo vedrete che nel telo si inizierà a formare una sostanza della consistenza della ricotta. Dopo circa tre o quattro ore prendete le vostre formine da ricotta, riempitele di Ricotta di mandorle, fatele sgocciolare ancora un’oretta e poi mettetele in frigorifero.

Si conservano tre o quattro giorni in frigorifero.
Le potete usare in purezza, o magari nei dolci, in sostituzione dello yogurt o del burro.

Gallette ai semi misti e il mio Grande Nord

Gallette ai semi misti e il mio Grande Nord

La regione scandinava mi ha sempre affascinato, e non solo per l’evidente aspetto naturalistico e per la mia spasmodica ricerca di un iceberg da abbracciare quando a Milano ci sono il 70% di umidità e 35 gradi all’ombra.
Nemmeno per la mia tendenza a comprare la qualunque appena entro da Ikea, per la hygge danese, per il Polo Nord e la casa di Babbo Natale.
La Scandinavia è un sentimento, è la colazione con salmone e aringhe, il pane di segale e il fuoco caldo quando fuori gela.
La mia Scandinavia è stata (finora) l’Islanda, perchè ho deciso di andare fin su in alto, nel Grande Nord, e farmi una foto tra gli iceberg.
Ad Agosto.
Col cappellino con i paraorecchi, la giacca a vento, e gli scarponcini da montagna. Ah, la soddisfazione.
Li ho abbracciati davvero gli iceberg d’estate.

Contrariamente a gran parte degli italiani in vacanza all’estero, che passano le giornate a struggersi al ricordo dei tortellini, e nelle sale di attesa degli aeroporti si scambiano ricette di famiglia e grandi sospiri nostalgici ripensando all’ultimo piatto decente di spaghetti al pomodoro mangiato a casa propria, quando vado all’estero mi faccio il punto di mangiare solo piatti locali.
Ora, confesso che l’hàkarl, ovvero lo squalo fermentato alla fine non l’ho assaggiato. Ci avrei anche provato ma la puzza il profumo di questa prelibatezza è abbastanza forte anche per me, e per le mie scorribande avventurose nelle cucine degli altri. Cadavere dello squalo putrefatto a parte, non mi sono tirata indietro di fronte a nulla.

Una delle cose che mi hanno accompagnata durante il mio viaggio, che nascondevo nello zaino per placare i languorini improvvisi, erano delle buonissime gallette ai semi misti, che su al Nord mangiano in una quantità spropositata, nemmeno fossero tanti passerottini.
Ne ho trovata una specie di versione nel libro La Nuova Cucina del Nord, che ho un po’ mediterraneizzato perchè ci ho messo l’olio per dare un po’ di sapore de’ noantri… e perchè non mi piaceva tanto solo con l’acqua.

Le Gallette ai Semi Misti si preparano davvero in un lampo, sono vegane e quindi perfette per partecipare al Veganuary anche quest’anno, sono buonissime anche da sole, e il bello è che ci potete mettere tutti i semi che volete. Il mio supermercato vende anche delle bustine di semi misti per insalata che spesso uso per realizzare questa ricetta, e vanno benissimo. Ma potete sbizzarrirvi come più vi piace. Cip cip.

Gallette ai semi misti
Ingredienti:
100 g farina 00
50 g farina di farro
160 g di semi misti (di solito uso semi di lino, di girasole, di zucca, di sesamo, di chia)
50 ml di olio di oliva (io uso l’EVO)
1 cucchiaino di sale fino
sale grosso per la superficie (opzionale)
acqua q.b.

Preparazione:
Le Gallette ai semi misti si preparano sporcando solo una ciotola (visto che sono pigra, è un altro bel vantaggio!), in cui vanno messe le farine e i semi misti, col sale.
Date una bella mescolata e poi aggiungete l’olio, e mescolatelo agli ingredienti secchi con una forchetta.
A questo punto, iniziate ad aggiungere l’acqua poco per volta, impastando con le mani fino a che non riuscirete a formare un impasto omogeneo e non più di tanto appiccicoso.
La quantità di acqua dipende dalle farine.
Io uso una miscela di farro e farina 00 perchè mi piace il sapore nocciolato del farro, ma potete anche farli solo con la farina 00, o anche con la farina 0. L’ultima volta ne ho messi all’incirca 80 grammi di acqua, non di più.
Stendete quindi l’impasto con un matterello sopra un foglio di carta forno, arrivando a uno spessore di un paio di millimetri.
Tagliate le Gallette ai semi misti nella forma che preferite (io le faccio rettangolari come le ho viste in Islanda, ma fatele pure quadrate, romboidali.. insomma, fate voi), posatele sulla teglia coperta di carta forno e, se vi piace, spargete sopra qualche altro fiocco di sale grosso (ma non è obbligatorio, se non vi piacciono troppo saporite).

Cuocetele in forno già caldo a 180 gradi per circa 15/20 minuti. Devono essere appena biscottate in superficie.
Fatele raffreddare un poco prima di toglierle dalla teglia, e gustatele.. quando volete!
Sono buone sempre!

I temporali dopo Ferragosto e i biscotti alle arachidi

I temporali dopo Ferragosto e i biscotti alle arachidi

Mentre osservo dal balcone il primo vero temporale post Ferragostano di questa estate di fuoco, mi torna in mente una delle scene finali del celeberrimo film Sapore di Mare.
Il temporale si abbatte sulla spiaggia, settembre allunga la sua ombra sugli ombrelloni chiusi, sferzati dal vento, le nuvole grigie si abbassano e sfiorano il mare, lo inghiottono.
Se chiudo gli occhi, al ticchettio della pioggia sento aggiungersi un ritornello conosciuto, quello che dice che l’estate sta finendo.
Eh già.

In realtà l’estate è ancora lunga, ed è stata lunghissima in questo anno rovente. Però il primo temporale dopo Ferragosto ha il sapore delle cose che finiscono, delle valigie che si chiudono, delle spiagge che si svuotano. Mi assale una leggera nostalgia di casa, che si accompagna a una voglia di cambiare tutto, che mi sta inseguendo senza sosta ormai da un paio di anni.
Sono pervasa da una costante inquietudine, fatta di nuvole basse e grigie come quelle di oggi all’orizzonte.

Il profumo della pineta bagnata è dolce e acuto, e mi ricorda quando qui ancora uscivo per raccogliere i pinoli. Ora non se ne trovano quasi più. Però le fronde verdi dei pini marittimi che danzano al vento contro un cielo di latte e argento riescono a darmi un po’ di serenità.

Con il vento che spazza un po’ di caldana, è tempo di ridare fiato ai forni, e oggi avrei proprio voglia di rifare questi Biscotti alle arachidi, che avevo preparato ormai qualche mese fa per il mio compleanno. Erano nati come biscotti alle mandorle, ma avevo dovuto buttare via il pacchettino delle mandorle già aperto per la presenza di qualche ospite indesiderato…. e quindi ho risolto di usare il pacchetto di arachidi che giaceva lì da Natale.
Mai avrei pensato che il risultato sarebbe stato così delizioso! Sono entrati di diritto tra i biscotti che riproporrò in altre occasioni, anche perchè sono facilissimi da realizzare.

Io ho usato la farina di farro, ma potete usare anche la farina 00.
Essendo pensati per le mandorle, ho usato il latte di mandorla che avevo in casa. Ma se non avete problemi di intolleranze o se non siete vegani, usate pure il latte vaccino. Si conservano bene in un barattolo di vetro per tre o quattro giorni, ma secondo me.. li finite prima!

Biscotti alle arachidi (per circa 30 biscotti):
Ingredienti:
150 g farina di farro
50 g amido di mais
90 g zucchero semolato
100 g circa di arachidi già sgusciate (io ne ho pesate due manciate)
90 g olio di semi
35 g latte (di mandorla per la versione vegana)
3 g lievito per dolci
un pizzico di sale
una punta di cucchiaino di bicarbonato

Preparazione:
Tagliate al coltello le arachidi sgusciate, avendo cura di lasciarne qualcuna intera per la successiva decorazione. Io ne ho lasciate una quindicina (intere) quindi diciamo trenta metà. Le taglio al coltello perchè mi piacciono irregolari, e scrocchiano bene sotto ai denti.

In una ciotola mettete tutti gli ingredienti secchi (farina, zucchero, lievito, bicarbonato, sale e amido di mais) e mescolate.
In un altro contenitore mescolate invece tutti i liquidi (olio, latte) e mescolate bene in modo che si emulsionino.

Versate quindi i liquidi nei secchi, mescolando bene prima con un cucchiaio e poi con le mani in modo da creare un panetto di impasto compatto.
Per ultime, aggiungete le arachidi tagliate al coltello.

Impastate bene, poi, coprite l’impasto con la pellicola e fate riposare il tutto in frigorifero per circa trenta minuti.

Riprendete l’impasto, e ricavate delle piccole palline di impasto. Non le ho pesate, ma fate conto che erano un po’ più piccole di una noce e mettetele sulla teglia coperta di carta forno.

Con l’aiuto di un tagliabiscotti, appiattite al suo interno ciascuna pallina in modo che si formino dei biscottini tondi (il mio tagliabiscotti è di circa 6 cm di diametro). Lasciate un po’ di spazio tra un biscotto e l’altro, ma siccome non crescono molto non è necessario distanziarli tantissimo.
Potete decorarli in superficie con una delle mezze arachidi che avete tenuto da parte.

Cuocete i biscotti nel forno già caldo a 170 gradi per circa 15 minuti.

Lasciate raffreddare e poi.. gustate!!

L’enigmistica sotto l’ombrellone e i grissini integrali all’olio di Maremma e olive

L’enigmistica sotto l’ombrellone e i grissini integrali all’olio di Maremma e olive

Quando vado al mare, spesso mi metto nella spiaggia libera e cerco, anche a scapito della lontananza dal bagnasciuga, di tenermi a debita distanza dal resto dell’umanità villeggiante. Questa mia specie di misantropia da spiaggia è peggiorata con la pandemia.
Eppure, per quanto io cerchi di scappare, l’umanità mi viene sempre appresso.
E in un attimo di distrazione, intenta a fare il bagno, mi ritrovo l’ombrellone circondato di teli mare altrui, radioline, palloni e racchettoni, metri di focaccia grondante olio, borse frigo dei miracoli, e l’immancabile fenicottero gonfiabile.
Ad agosto è impossibile scappare.

Questa forzata vicinanza regala però qualche simpatico siparietto comico. Questa volta gli involontari protagonisti sono stati un gruppetto di cinque ragazzi, tra i diciotto e i vent’anni, non di più. Tutti intenti a fare insieme un cruciverba. I cruciverba sono uno dei passatempi da ombrellone più diffusi, che snocciolano perle di involontaria comicità. Magari qualcuno di voi ricorderà Abatantuono nel film “Vacanze di Natale ’90“. Ecco, così.
Il gioco collettivo è che uno di loro diceva a voce alta le definizioni, con le lettere che apparivano nello schema, e gli altri avrebbero dovuto aiutarlo a completare il cruciverba.
Il dramma si è abbattuto sulla definizione “il sito megalitico più famoso della Francia“. E finiva con una C! Il silenzio è calato sul gruppo.
Sguardi vuoti. Ancora più silenzio. “Ma non hai un’altra lettera?” Ah, sì, c’è una A come seconda. Altro silenzio. Qualcuno grida “Pasternak!”, ma no, non c’entra. Nel senso che non entra proprio, troppo lungo. Altrimenti ci avrebbero anche provato!

Mi viene da girarmi. Glielo dico o non glielo dico?
Ma come fanno a non conoscere i menhir di Carnac? Sono anche più antichi di Stonehenge, e ho avuto tempo fa pure il privilegio di vederli da vicino. Mentre vanno a tentoni sparando cose a caso che non finiscono per C, mi viene la tentazione di dirglielo, ma mi blocco.
Niente, l’ultimo megalite di Carnac li sfianca e li travolge. Chiudono la Settimana Enigmistica e vanno a tirare quattro calci al pallone.

Non proprio menhir, ma se li tenete in piedi magari fanno anche loro da strumenti astronomici… tutto sta nel provare!! Intanto però potete provare a fare qualche esperimento di chimica con la lievitazione di questi deliziosi Grissini all’olio e olive, tutto rigorosamente di Maremma.
Ovviamente fateli con olio e olive che più vi piacciono, saranno comunque buoni.
La ricetta è quella dei grissini semplici all’olio col farro che ho pubblicato qui, con qualche piccolissima modifica. Vi avviso, creano dipendenza.

Grissini all’olio d’oliva e olive
Ingredienti (per tre teglie di grissini):
250 g di farina integrale
250 g di farina manitoba (o 00, se non l’avete)
250 g di acqua tiepida
8 g lievito di birra
50 g olio EVO
8 g sale
70 g di olive già snocciolate e tagliate a pezzettini
olio e sale da mettere in superficie

Preparazione:
In una ciotola mettete la farina di farro (se non l’avete potete fare metà e metà di farina 00 e manitoba).
Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida, e poi versatene una metà nella farina, e iniziate ad impastare.
Potete impastare a mano o con la planetaria.
Una volta che l’acqua si sarà assorbita, inserite anche il sale, e impastate di nuovo.
Poi aggiungete anche il resto dell’acqua con il lievito, e impastate nuovamente.
Aggiungete le olive tagliate a pezzettini (io le taglio al coltello, così ho dei pezzetti irregolari che danno un tocco di rustico che mi piace molto!).
Infine, aggiungete anche l’olio e impastate ancora, fino a che non raggiungerete una consistenza liscia e compatta.

Prendete il vostro impasto, ponetelo in una ciotola e copritelo con la pellicola.
Lasciatelo lievitare fino al raddoppio. La tempistica dipende dalla temperatura che avete in cucina, in generale tra 90 e 120 minuti.

Riprendete l’impasto, spolverate il piano di lavoro con un po’ di farina, e stendete l’impasto in forma rettangolare, a un’altezza intorno al mezzo centimetro.
Copritelo con la pellicola, o con un canovaccio, e fate riposare ancora una mezz’oretta.

Prendete un coltello (io mi trovo bene con la rotella tagliapizza, faccio più veloce!) e tagliate l’impasto in tanti bastoncini, e metteteli sulla teglia coperta di carta forno, leggermente distanziati. Ne riempirete circa tre teglie.
Potete lasciarli diritti o arrotolarli su se stessi. Io in questo caso li ho lasciati diritti.
Prendete un po’ di olio, e spennellate i grissini all’olio e olive sulla superficie, e poi spargete un po’ di sale fino sulla superficie dei grissini.

Cuocete i grissini in forno già caldo a 180 gradi per circa 20 minuti, poi lasciateli raffreddare in modo che si possano indurire.

Finito qui.
Ma quanto è semplice preparare in casa delle cose buone e che fanno anche bene?

Buoni come il pane… anzi, come i grissini!

Buoni come il pane… anzi, come i grissini!

Quanti proverbi conoscete che contengono la parola “pane”? Almeno una ventina vi verranno in mente senza nessuno sforzo. “Dire pane al pane“, “non è pane per i miei denti“, “guadagnarsi il pane“.. fino al più evangelico “non di solo pane…“.
Non hanno avuto la stessa sorte i grissini, che però hanno una nobilissima storia, e non potrebbe essere altrimenti visto che sono originari di Torino. La parola “grissino” deriva da ghërsa, un termine torinese che indica il pane di forma allungata, tipico della città. La storia ci racconta che i grissini nacquero alla fine del 1600, per far mangiare il piccolo Vittorio Amedeo II, futuro re inappetente (pare che fosse allergico al lievito).

Il successo fu immediato, e non solo a corte, tanto che da allora i grissini si diffusero pressoché ovunque in Italia. Si mangiano a colazione, a pranzo, cena… in ogni momento della giornata, insomma.
Stirati, robatà, all’olio, al sesamo, al finocchio… le varianti dei grissini sono innumerevoli, così come le forme, arrotolate, nodose, larghe, strette.

Ingredienti e forme a parte, i grissini sono amatissimi da chiunque. Vi sfido a trovare un solo italiano che al tavolo di un ristorante non abbia voracemente attaccato il misero pacchettino di grissini che viene offerto in attesa dell’arrivo del menù.

In questa lunghissima e nobile storia dei grissini mi inserisco umilmente anche io con la mia versione dei Grissini al farro all’olio, che si realizzano con una certa facilità, e che sto preparando ormai a nastro da qualche settimana. Ho fatto diverse prove prima di arrivare a una ricetta che tutti possano realizzare, con prodotti che si possono facilmente trovare in ogni casa (o comunque in ogni supermercato, per quanto piccolo possa essere).
L’importante è che l’olio che utilizzate sia un extravergine di oliva buono. Io ho approfittato per finire il mio amatissimo olio maremmano, l’ultima lattina acquistata la scorsa estate, che ha dato ai miei grissini un profumo e un gusto straordinari.

Provateli, ne vale davvero la pena.

Grissini di farro all’olio d’oliva
Ingredienti (per tre teglie di grissini):
500 gr di farina di farro
250 g di acqua tiepida
8 g lievito di birra
50 g olio EVO
8 g sale
olio e sale da mettere in superficie

Preparazione:
In una ciotola mettete la farina di farro (se non l’avete potete fare metà e metà di farina 00 e manitoba).
Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida (mi raccomando, non calda altrimenti “ucciderà” il lievito), e poi versatene una metà nella farina, e iniziate ad impastare.
Se avete la planetaria sarà facilissimo e non vi sporcherete nemmeno le mani, ma si può fare benissimo anche a mano.
Una volta che l’acqua si sarà assorbita, inserite anche il sale, e impastate di nuovo.
Poi aggiungete anche il resto dell’acqua con il lievito, e impastate nuovamente.
Infine, aggiungete anche l’olio e impastate ancora, fino a che non raggiungerete una consistenza liscia e compatta.

Prendete il vostro impasto, ponetelo in una ciotola e copritelo con della pellicola.
Lasciatelo lievitare fino al raddoppio della massa. La tempistica dipende dalla temperatura che avete in cucina. In estate potrebbe volerci un’oretta e mezza circa, magari d’inverno una mezz’oretta in più.

Riprendete l’impasto, spolverate il piano di lavoro con un po’ di farina, e stendete l’impasto in forma rettangolare, a un’altezza intorno al mezzo centimetro.
Copritelo con la pellicola, o con un canovaccio, e fate riposare ancora una mezz’oretta.

Prendete un coltello (io mi trovo bene con la rotella tagliapizza) e tagliate l’impasto in tanti bastoncini, e metteteli sulla teglia coperta di carta forno, leggermente distanziati. Con queste quantità, di solito ne escono tre teglie.
Potete lasciarli diritti o arrotolarli su se stessi. Nella foto ho usato un paio di forme diverse, ma vi assicuro che sono buoni in ogni forma.

Prendete un po’ di olio, e spennellate i grissini di farro all’olio sulla superficie, e poi spargete un po’ di sale fino sulla superficie dei grissini.

Cuocete i grissini in forno già caldo a 180 gradi per circa 20 minuti, poi lasciateli raffreddare in modo che si possano indurire.
Si conservano per diversi giorni, ma non vi so dire quanti perchè… sono finiti sempre in due giorni!

Ode al bicarbonato e i Pancakes vegani

Ode al bicarbonato e i Pancakes vegani

Il vocabolario ci dice che la definizione più corretta di scoperta è “Acquisizione alla conoscenza e all’esperienza umana di luoghi, fenomeni, nozioni, oggetti prima sconosciuti”.
Avevo notato, leggendo tante ricette specie americane, che c’è sempre un pizzico di baking soda, cioè bicarbonato, anche quando veniva già utilizzato il lievito chimico, e mi chiedevo come mai.
La composizione del lievito chimico già include il bicarbonato. Per quanti non lo sapessero, il lievito che usiamo comunemente nei dolci è formato da una base alcalina, rappresentata proprio nella maggior parte dei casi dal bicarbonato, unita a una base acida e a un deumidificante per la conservazione (di solito un amido).
Quindi mi sono sempre chiesta perchè dare un boost di bicarbonato a un impasto che già ne ha.

La cucina è una scienza, non solo un’arte. Magari non una scienza esatta al grammo, ma vediamo tutti le trasformazioni del cibo quando viene cotto, e non possiamo non riconoscere dietro lo zampino della scienza. Fisica, chimica, biologia e sapore.
Quindi ho voluto dare una chance agli amici americani e al loro bicarbonato, e per farlo ho scelto una ricetta vegan che, per la mancanza di uova montate, ha la tendenza a non crescere un gran chè in cottura.

I Pancakes Vergani sono preparati con una banana matura come legante, che dà anche un buon sapore al prodotto finale, e molta dolcezza.
Purtroppo dà anche molta umidità, che non facilita il volume in cottura. Mi sembrava la occasione giusta per fare un esperimento chimico-fisico senza arrischiare una torta intera.
Che dire? Eureka!

I Pancakes Vegani sono venuti belli soffici, più alti del normale, e hanno mantenuto la morbidezza a lungo e non sono diventati quelle suole di scarpa che di solito diventano dopo qualche ora dalla cottura. Il bicarbonato aggiunge un po’ di sofficità all’impasto, e aiuta a intrappolare le bolle di gas che rendono l’impasto soffice.
Il segreto è in realtà un semplice processo biochimico. La base alcalina del bicarbonato reagisce a contatto con l’acido del limone (o dell’aceto) e oltre ad essere ipnotico vedere un esperimento di chimica nella nostra cucina, ha come risultato di aiutare le nostre preparazioni ad acquisire morbidità che dura nel tempo.

L’ho provato anche in un’altra preparazione (una ciambella normalissima) che si è mantenuta morbida anche se l’abbiamo lasciata (meglio: dimenticata) non coperta per due giorni.

Naturalmente il bicarbonato va usato con moderazione, perchè tende a dare un po’ di acidità. Troppo bicarbonato ha come effetto quello di gonfiare e poi sgonfiare subito il vostro dolce , rovinandolo. In questa ricetta ce n’è solo qualche grammo, e anche nei dolci da credenza ne metto anche meno. Ma la reazione è sufficiente per dare un aiutino al lievito chimico a mantenere l’impasto cotto come una nuvola.
Provatelo. Ne vale la pena.

Pancakes Vegani.

Ingredienti:

mezza banana matura
125 g farina 00 (o di farro)
130 ml latte di mandorla (o altro latte veg)
25 g zucchero
1 cucchiaino estratto di vaniglia
15 g olio dolce
6 g lievito per dolci
2 g bicarbonato
mezzo cucchiaino di aceto di mele o di succo di limone

Preparazione:
Schiacciate la banana a formare una poltiglia e mettetela da parte.

In una ciotole setacciate i secchi (farina, lievito, bicarbonato e zucchero).
versate sui secchi il mezzo cucchiaino di limone o aceto, e attendete qualche secondo che reagisca facendo tante bolle.

Aggiungete la banana schiacciata, l’olio, il latte vegetale e mescolate con una frusta a mano.

Ungete una padella con poco olio, e quando è ben calda versate un po’ di impasto, e cuocete a fuoco medio.
Girate il Pancake Vegano quando inizieranno a comparire le prime bollicine in superficie.

Un’altra versione dei pancakes vegani? guardate qui!

La Francia, per me. La fougasse provençale aux herbes

La Francia, per me. La fougasse provençale aux herbes

La strada verso ovest era inondata dal sole accecante di luglio. La lingua di asfalto correva tra mare e prati, ed io col finestrino abbassato e una stazione radio francese cantavamo all’aria una canzonetta estiva di tanti anni prima. Mi sentivo BB mentre tenevo il mio cappello di paglia contro il vento.

Ho parlato francese per anni prima di parlare davvero con un francese, e già per me questa cosa era un evento da ricordare. Era l’ultima estate dell’ultimo secolo, il mondo era un posto diverso, più analogico e forse un po’ più bello.

Era un tipico viaggio squattrinato, ma non mi sono persa l’assaggio della fougasse provençale, parente alla lontana della nostra focaccia, ma quasi sempre – nella versione provenzale – accompagnata da erbe, olive, formaggi, o lardon, se ci si vuole fare del male.

Erano tantissimi anni che non l’assaggiavo, ma complici i casi della vita, che non sono quasi mai casi, mi è tornata voglia di rifarla. Così, mentre ripasso il mio francese che ormai si è scalcagnato un po’ e ha bisogno di rinfresco più del lievito madre, ho infornato questa delizia.

Ci sono diverse versioni, naturalmente, perché anche Oltralpe ogni città ha la sua fougasse. Quella che vi propongo oggi è la più semplice e veloce che ci sia, presa (liberamente) dal libro “A table avec Marcel Pagnol”, così ho fatto anche esercizio di lingua francese. L’ho aromatizzata semplicemente con timo e rosmarino, due erbe che si trovano in Provenza ma anche da noi, e quindi è possibile realizzarla con davvero pochissimo sforzo.
Ho usato la farina di farro bio, che in questo periodo sto adorando, ma potete usare quella che volete naturalmente.
Fate la fougasse, e lasciate che il suo profumo di erbe e buon olio di oliva vi invadano la cucina.
Non ve ne pentirete!

Fougasse provençale aux herbes

Ingredienti (per una fougasse):
500 gr farina id farro (o quella che desiderate)
20 g lievito di birra fresco
30 g + 250 g acqua tiepida
30 g olio extravergine di oliva
1 cucchiaino di sale fino
rosmarino e timo a piacere

Preparazione:
Iniziate a preparare la vostra fougasse sciogliendo in 30 g di acqua tiepida il lievito di birra fresco. Lasciatelo attivarsi per una quindicina di minuti.

Nel frattempo, mettete in una ciotola (o nella planetaria) la farina di farro, l’olio di oliva, l’acqua tiepida (250 g) e il sale. Mescolateli brevemente, e poi – trascorsi i 15 minuti – versate anche il lievito sciolto nell’acqua.

Impastate per qualche minuto, fino a che l’impasto sarà liscio (o si staccherà dalle pareti della planetaria). Sarà ancora abbastanza morbido e leggermente appiccicoso, ma va bene così.

Ungete una ciotola, adagiatevi l’impasto della fougasse, coprite con la pellicola e fate lievitare fino al raddoppio (a seconda della temperatura esterna ci potrebbero volere da un’ora e mezza a due ore).

Scaldate il forno a una temperatura di 210 gradi.
Nel frattempo, riprendete l’impasto, e impastate nuovamente, incorporando le erbe (io ho messo due cucchiaini di rosmarino fresco tritato fine e uno di timo), e poi stendete l’impasto sulla carta forno con le mani, dando una forma simile a una foglia.

Prendete un coltello, o la rotella della pizza, e realizzate dei tagli che dovrete leggermente allargare con le dita così che rimangano anche in forno.

Spennellate di olio la superficie della fougasse e spargete del sale grosso sulla superficie.

Cuocete in forno per 25 minuti. Ricordate di mettere sul fondo del forno un piccolo contenitore pieno di acqua, in modo che la fougasse diventi soffice all’interno, ma croccante all’esterno.

Gustatela appena tiepida, con quello che volete. Anche da sola.
Credetemi, la rifarete.