Torta zebrata. Quando le dimensioni contano

Torta zebrata. Quando le dimensioni contano

Ci sono diversi stratagemmi che la gente usa per addormentarsi. Anche io ne ho alcuni: mi racconto storie, spesso cambio i finali perchè non sempre ho lo stesso stato d’animo della notte precedente; talvolta cerco di ricordarmi a memoria le note di un brano che sto studiando (con il rischio di andare ancora più nel panico quando mi accorgo che mi sono dimenticata una battuta); altre volte sto ad ascoltare i rumori fuori (ma solo quando piove).
Un’altra cosa che faccio spesso è cercare di risolvere i grandi misteri della vita e dell’universo, e tra tutti uno, a caso: ma come mai la torta zebrata mi viene sempre a punta come se fosse il Vesuvio? Questa ricetta l’ho fatta già diverse volte, perchè è perfetta per la colazione. Bella umida e soffice, con una particolare decorazione che mette allegria – e, credetemi, alcune mattine hanno proprio bisogno di una colazione che metta il buonumore.

Però le ultime volte mi veniva sempre modello Vesuvio. Un bel cono che esplodeva sulla sommità. Comunque buona, ma bruttina e non fotografabile. La realtà è che seguivo una ricetta che avevo trovato in un opuscolo che, secondo me, avrà una quarantina di anni, e che ancora gira tra i libri di cucina della mia mamma. E’ il famigerato (ogni tanto ne parlo, perchè è una vera miniera) inserto pieghevole di un settimanale famoso negli anni Ottanta che si chiamava Bella, e che ormai non esiste più. Oltre a dare consigli per praticamente tutto (smacchiare, pulire, sistemare) c’è una sezione di cucina con qualche ricetta semplice ma ottima.
Anche alla mia mamma le torte di quell’opuscolo venivano sempre a Vesuvio, anche se non avevano mai visto Napoli. C’è da dire che l’armamentario della cucina di casa nostra, in quanto a pasticceria, lasciava assai a desiderare. C’era una sola teglia, in alluminio, che durante il trasloco aveva preso così tanti colpi che era piena di bozzi, e il fondo si era pure un po’ incurvato. Davo la colpa a questa forma assurda del fatto che proprio le torte non riuscivano a lievitare bene e venivano tutte appuntite. In realtà, la verità è che il primo problema stava nella ricetta, che non sdava la dimensione della teglia.

L’istruzione “prendete una teglia” è tanto vaga quanto chiedermi se ricordo il teorema di Pitagora. Vagamente, diciamo.
In realtà, le misure sono molti importanti quando si fanno dolci. Temperature, ma anche teglie. Avendo quasi sempre usato una teglia da 22 cm, che è poi il passe-partout di quasi ogni ricetta (ribadisco “quasi”), compariva il famoso vulcano. Obiettivamente brutto.

Così ho voluto provare nuovamente la ricetta, cambiando la teglia. E sono arrivata a 25 cm. Secondo me, qui va bene una teglia da 26 cm con queste quantità, ma direi che ci siamo quasi. La Torta Zebrata fatta così è quasi perfetta. Se amate i dolci da credenza come me, non vi resta che provarla. E buona colazione!

Torta Zebrata (per una teglia da 26 cm)
Ingredienti:
300 g farina 00
250 g zucchero semolato
4 uova medie
16 g lievito per dolci
1 bustina vanillina
250 ml latte
100 ml olio di semi
due cucchiai colmi di cacao non zuccherato

Procedimento:
Prendete una ciotola e montate, con l’aiuto delle fruste elettriche, lo zucchero con le uova (intere).
Successivamente, sempre con le fruste in funzione, unite l’olio e poi il latte (non freddo, mi raccomando).
Setacciate la farina e la vanillina, e unitela alle uova montate con lo zucchero. Potete anche usare le fruste per amalgamare il composto, l’importante è che le fruste siano alla velocità più bassa.
Setacciate poi per ultimo anche il lievito e mescolate.

Dividete l’impasto in due, e in una delle due parti unite anche il cacao setacciato. Mescolate bene per evitare i grumi.

Prendete la vostra teglia da 26 cm di diametro; foderatela con della carta forno.
Mettete poi al centro della teglia tre cucchiai dell’impasto chiaro, e poi al centro di questo due cucchiai dell’impasto scuro. Poi ancora tre cucchiai di impasto chiaro al centro di quello scuro e poi due cucchiai di quello sciro al centro dell’impasto chiaro.

Andate avanti così ad alternare i due impasti fino al loro esaurimento.

Infornate la vostra Torta Zebrata nel forno già caldo a 180 gradi (statico) e cuocete per circa 30 minuti.
Date un’occhiata sempre, perchè ogni forno è diverso dall’altro.
Mettete la torta nel ripiano medio basso del forno e fare sempre la prova stecchino. Se esce pulito, allora la torta è pronta.
Nel caso vedeste che i bordi di scuriscono ma la torta è cruda al centro, copritela con un foglio di alluminio, in modo da evitare che si bruci sopra mentre finisce di cuocere.

Torta di fragole e ricotta… e poesia

Torta di fragole e ricotta… e poesia

La scorsa settimana, quasi per gioco, ho lanciato su Instagram una mini rubrica, che ho chiamato con eccessiva prosopopea #unlibrounaricetta. Non sono particolarmente nota per i miei hashtag, anzi. Però questa volta ho ricevuto commenti abbastanza incoraggianti, che mi hanno spronato a sfrugugliare ancora nella mia libreria alla ricerca di qualcosa di nuovo.

Tra i libri che sto leggendo non sempre trovo qualche ricetta accattivante che è la protagonista del libro, oppure un felice incidente (alcuni sceneggiatori americani lo chiamano anche meet cute) da cui si dipana la storia. Ma da qualche tempo ho sul comodino un libro molto grazioso, scritto da Erri De Luca, notissimo scrittore napoletano, che si intitola Spizzichi e Bocconi. E’ un poetico viaggio nella sua storia attraverso odori, sapori, consistenze e tanti, tantissimi ricordi. Chi conosce De Luca, forse sarà rimasto spiazzato dal libro (che contiene anche degli interventi di un nutrizionista biologo che, come un contrappunto, riprende e amplia scientificamente le storie alimentari narrate nel libro).
Leggendolo bene, o rileggendolo come è capitato a me, la poetica e lo stile di De Luca escono anche da semplici narrazioni di ragù, osterie, pane e acqua… e una torta di fragole.

Nel libro non c’è la ricetta della torta, ma il ricordo di essa, e della paletta d’argento usata per servirla in tutti i compleanni della sua infanzia. Essendo anche io di maggio come De Luca, capisco i suoi ricordi legati alle fragole grosse e profumate, come solo sanno esserlo i frutti di stagione. E ricordo la paletta d’argento, incisa come un merletto, usata per servire le torte dei miei primi compleanni. Quelli in cui si mangiava la Sant’Honoré perchè “era un giorno speciale”, in cui ci mettevamo tutti intorno al tavolino del soggiorno, con i bambini seduti a terra, con tutti i nonni ancora con noi, le candeline che mia cugina insisteva a voler soffiare al posto mio, e la piccola paletta merlettata da cui raccoglievo la panna con il dito.

In onore di “Spizzichi e bocconi” vi propongo una ricetta di Torta di fragole e ricotta veramente facilissima, che potete anche fare con lamponi, mirtilli.. ciò che più vi piace. Si prepara velocemente, e poi fa tutto il forno. Non dovete preoccuparvi più di niente, se non di trovare un buchino per una fettina. Vi assicuro, vale la pena trovarlo.

Torta di fragole e ricotta
Ingredienti (per una teglia da 22 cm):
250 g farina 00
180 g zucchero semolato
3 uova
250 g ricotta vaccina
40 g olio (io uso quello di riso, il sapore deve essere molto dolce)
8 g lievito
la buccia grattugiata di un limone bio
300 g fragole più alcune per la decorazione (se vi va)
un pizzico di sale
zucchero a velo per servire

Preparazione:
Lavate bene le fragole, asciugatele e tagliatele a pezzetti; mettete da parte.

In una terrina capiente montate le uova con lo zucchero semolato fino a che non diventano belle chiare e spumose. Ci vorranno all’incirca 5 minuti.
Unite poi l’olio, sempre con le fruste accese ma a velocità ridotta, e un pizzico di sale.

Dopo l’olio, unite anche la ricotta ben sgocciolata, a due o tre riprese, sempre con le fruste a velocità bassa, e la buccia grattugiata del limone.

Unite poi la farina setacciata con il lievito, e mescolate bene per evitare i grumi.

Infine, unite le fragole, che dovrete aver anche leggermente infarinato prima di gettarle nell’impasto. Amalgamate con una spatola molto delicatamente per evitare di rompere le fragole.

Mettete l’impasto in una teglia da 22 cm già foderata di carta forno. Se volete potete mettere sulla superficie dei pezzetti di fragola aggiuntivi. Poi cuocete in forno a 180 gradi (statico) per almeno 45 minuti.
Il tempo di cottura varia un po’ in questa torta, perchè dipende dalla succosità delle vostre fragole. Potrebbero volerci anche un dieci/quindici minuti in più.

La torta è cotta quando lo stuzzicadenti uscirà pulito.

Lasciate raffreddare nella teglia, poi decorate con zucchero a velo.

Avendo frutta fresca nell’impasto, per conservarla ed evitare muffe sarebbe meglio metterla coperta in frigorifero, e consumarla entro pochi giorni.

Plumcake allo yogurt, cocco e limone

Plumcake allo yogurt, cocco e limone

Adoro il limone nei dolci.
Più del cioccolato, più della panna, più di tutto.
In questo blog trovate non so quante versioni di dolci aromatizzati al limone. Limone e lavanda, limone e mandorle, limone e olio di oliva, limone e.. basta.
Quella sua piccola nota dolce e acidula è musica. Nulla profuma la cucina come un dolce al limone appena sfornato.

La ricetta di questo Plumcake allo yogurt, cocco e limone arriva da mille ricette messe insieme, con l’aggiunta di un accento estivo/utilitaristico: dovevo assolutamente utilizzare una confezione già aperta di cocco rapé. Ho pensato che questa ricetta che profuma di limoni e di una promessa di estate fosse una bella ode alla primavera, che quest’anno cade (astronomicamente, si intende) proprio oggi.
Quest’anno la primavera ci è corsa davanti, e già settimane fa hanno iniziato a fare capolino nei giardini dei condomini le margherite di campo, gli occhietti della madonna (ma anche da voi si chiamano così?), fiori bianchi e rosa sugli alberi in mezzo alle aiuole spartitraffico, e soprattutto tante magnolie, che ho scoperto essere a centinaia nei giardini di Milano.

Anche le prime fragole hanno iniziato a fare bella mostra di sé nei supermercati e tra i banchi del mercato. Io però non sono ancora pronta, e forse nemmeno loro (sanno tanto di acqua e poco di fragola). Mi sono quindi concentrata su due sapori freschi e legati, almeno nel mio immaginario, alla stagione più tiepida, preludio d’estate.

Oltre ad essere buonissimo, questo Plumcake ha due caratteristiche che ve lo faranno amare: si sporca solo una ciotola, e resta morbido per diversi giorni grazie allo yogurt. Se volete accentuare il sapore del limone, prendete uno yogurt al limone; viceversa, prendetene uno al cocco. Se siete in dubbio tra i due, uno classico bianco, o alla vaniglia, andrà bene lo stesso!

Plumcake allo yogurt, cocco e limone
Ingredienti:
250 g farina 00
180 g zucchero semolato
50 g fecola di patate
10 g lievito per dolci
3 cucchiai da minestra di cocco rapé (o farina di cocco)
2 uova
2 vasetti di yogurt (in tutto sono 250 g) di vostra scelta
140 ml olio di semi (o di riso)
zeste grattugiate di 2 limoni
succo di un limone (io l’ho misurato il mio erano circa 60 ml)

Preparazione:
Mettete in una ciotola abbastanza capiente lo zucchero, sgusciatevi all’interno le uova e sbattetele leggermente con una frusta a mano.
Unite quindi lo yogurt, le zeste dei limoni e il succo, e continuate a mescolare con la fusta a mano. Infine, inserite anche l’olio a filo, sempre mescolando con la frusta.

Solo a questo punto unite le polveri (farina, lievito e fecola) che devono essere sempre setacciati bene. Setacciare le polveri è importantissimo, perchè inizia a far incorporare nell’impasto l’aria, che aiuterà la lievitazione e contribuirà a mantenere soffice il vostro dolce.

Amalgamate bene il vostro impasto, e per ultimo unite i tre cucchiai di cocco rapé.

Date un’ultima mescolata decisa con la frusta a mano per amalgamare il tutto.

Prendete uno stampo da plumcake, rivestitelo con carta forno e versatevi l’impasto.

Fate cuocere a forno già caldo a 180 gradi per circa 45 minuti (controllate comunque con lo stecchino – se ne uscirà pulito, il dolce è pronto). Se la superficie dovesse scurirsi troppo, potete coprirla con un foglio di alluminio.

Sformate il plumcake quando sarà almeno un po’ tiepido. Servitelo così, in purezza, con una semplice spolverata di zucchero a velo.

Carote! Carote! Carote! Il rotolo alle carote e arancia

Carote! Carote! Carote! Il rotolo alle carote e arancia

Spesso, quando dico che ho un blog di cucina, ricette e così via, la gente mi chiede “Ma quindi fotografi tutto quello che prepari?”.
Beh, no. In realtà, fotografo alcune cose. Non sempre ho tempo, ma – lo confesso – anche voglia di aprire treppiedi, tavole piattini e compagnia.
Più semplicemente cucino, mangio.. vivo. Non ho l’angoscia della fotografia a tutti i costi.

Certo, se una ricetta vale la pena, mi piace condividerla. Spesso però mi capita anche che è così buona che sparisce prima che io possa anche solo allontanarmi dalla tavola per prendere la macchina fotografica.

E’ questa la storia di questo Rotolo alle carote e arancia, una delle ricette che ho fatto più spesso negli ultimi anni, e che ancora più spesso è stata finita sulle tavole della colazione prima ancora di darmi anche solo il tempo di immaginare un set fotografico in cui darle il risalto che si merita.

E’ quasi successa la stessa cosa anche l’ultima volta che l’ho preparato, e infatti queste tre erano le ultime fette rimaste del mio amato rotolone. Per fortuna ho avuto una piccolissima intuizione di fotografia che potesse davvero rappresentare quanto morbido e profumato possa essere questo rotolo di dolcissime carote, leggermente contrastate dalla marmellata di arancia.
Per la marmellata, scegliete quella che preferite. Arance dolci o amare, intendo. Ma anche mandarini. Viene benissimo con tutte.
Ovviamente le arance amare danno più contrasto alla dolcezza della pasta biscotto fatta con le carote, ma è una questione di gusti.

Consiglio, visto che le carote comunque rilasciano del liquido, di prepararla con della farina integrale, come ho fatto io questa volta, oppure semi integrale, o di farro. Insomma, una bella farina rustica che dia una buona assorbenza ai liquidi naturali degli ingredienti.
Per il resto, è talmente semplice che non ha bisogno di altri consigli, se non.. provatelo!

Ingredienti:
150 g farina integrale o di farro
30 g farina di mandorle (se non l’avete la stessa quantità di farina)
100 g zucchero (io ho usato quello di canna chiaro)
200 g carote grattugiate (quindi già mondate)
2 uova
100 ml latte di mandorle
8 g lievito
zeste di una arancia bio
marmellata di arance (quella che volete)

Preparazione:

Iniziate a preparare il vostro Rotolo alle carote e arancia lavando e mondando le carote, che dovrete poi grattugiare (io mi aiuto con il mixer, si fa velocemente senza sporcare troppo).

Montate le uova con lo zucchero con l’aiuto delle fruste elettriche, e quando sono chiare (ci vorranno un paio di minuti) aggiungete il latte di mandorle, e poi con una spatola incorporate i secchi (la farina, la farina di mandorle, i lievito) avendo cura di setacciarli.
Per ultime aggiungete anche le carote e le zeste grattugiate.

Versate l’impasto del Rotolo alle carote e arancia in una teglia (la mia misura circa 24 x 32) coperta di carta forno, livellate l’impasto e cuocetelo in forno caldo a 180 gradi per una ventina di minuti.

Una volta estratto dal forno, ribaltate (ancora caldo.. attenzione a non scottarvi!) il rotolo su un altro foglio di carta forno, in modo che la parte superiore tocchi il foglio pulito.
Togliete il foglio sottostante (che è stato quello che ha cotto nel forno con l’impasto) e sulla superficie che sarà restata un po’ rugosa spalmate uno strato di marmellata di arance.

Arrotolate il Rotolo alle carote e arance aiutandovi con la carta forno, e fate raffreddare così per un paio di ore.

Servitelo con lo zucchero a velo, se vi va.

Reginelle… regine’ (di sesamo e canzoni)

Reginelle… regine’ (di sesamo e canzoni)

Lo sai, Regine’
che t’ho voluto bene
e mai l’ho detto a te
ci ho fatto una canzone
ed almeno questa ti appartiene
come un po’ di me…

Vai a capire cosa c’è nel nostro cervello, quali collegamenti misteriosi, quali fantasie. Mi hanno portato dalla Sicilia per assaggiarle le Reginelle Palermitane, dette anche sesamini (mi dicono), e a me che viene in mente? Una canzone di Claudio Baglioni, non so nemmeno se così famosa, ma che evidentemente se ne stava parcheggiata in un angolino della mia memoria, pronta ad alzare insistentemente la mano ogni volta che ho provato a scrivere la ricetta delle Reginelle.

Regine’, il ricordo di parole in musica, una storia d’amore finita o forse mai iniziata. Struggente come un mattino soleggiato di metà settembre, con l’Etna che si staglia su fondo del cielo blu, mentre l’aereo all’improvviso di trova sul velluto azzurro, la luce arancio del mattino, e una spiaggia lunghissima bianca. Interminabili file di sdraio ed ombrelloni, tutti uguali, tutti ordinati, soldatini attenti al sole.
La Sicilia compare così, all’improvviso, mentre l’aeroplano vira e all’improvviso c’è Sicilia, c’è Catania. Dall’alto sembra tutto un Paradiso.

Le Reginelle sono tutto fuorchè un biscotto da regine, nel senso che sono semplici frolle, spesso preparate con strutto. Da buona lombarda avrei pure potuto provarci ad usarlo, ma in realtà ho avuto pietà delle mie arterie e ho optato per la versione con il burro, che è anche più reperibile e replicabile. Se non vi piace il sesamo, non ci provate, perchè ce ne vuole tanto. Ma non si possono fare senza.
La preparazione è davvero semplice, e la differenza la fanno le materie prime, che devono essere buone. Buon burro, un buon limone per dare il profumo agrumato della Sicilia, e dell’ammoniaca per dolci per lievito (se non lo avete, vada per il lievito per dolci).

Il profumo e il sapore vi stupiranno.

Ingredienti:
250 g di farina 00
80 g di burro
100 g di zucchero
1 uovo
zeste di un limone
30 ml latte
3 g di ammoniaca
un pizzico di sale

sesamo per impanare i biscotti q.b.
acqua

Preparazione:

Le Reginelle Palermitane sono semplici da realizzare. In una ciotola mettere la farina, lo zucchero, l’ammoniaca per dolci e un pizzico di sale, che ci vuole sempre (anche nei dolci!).
Mescolate per amalgamare gli ingredienti e poi unite al centro l’uovo, le zeste del limone (mi raccomando, grattugiate solo le bucce non trattate!) e il burro appena ammorbidito.

Impastate fino che non si sarà formato un panetto di frolla liscio e omogeneo. Se dovesse essere troppo secco, unite a poco a poco anche il latte (io l’ho usato, a occhio ne ho messi 30 ml, ma dipende anche dalla grandezza del vostro uovo).

Copritelo con della pellicola e mettetelo in frigorifero a riposare per almeno mezz’ora (meglio sarebbe un’ora, così i biscotti manterranno la forma in forno).

Riprendete l’impasto, prendete alcuni pezzetti per volta e arrotolateli fino a formare dei cilindretti di circa mezzo centimetro di diametro. Tagliate quindi questi filoncini della dimensione di cinque o sei centimetri (io sono andata molto ad occhio).

Spennellate ciascuna delle Reginelle Palermitane con un po’ di acqua e poi tuffatele nei semi di sesamo, così i semi si attaccheranno. Ponete quindi i biscotti su una teglia coperta di carta forno.

Abbiate cura di distanziarli un po’ perché cresceranno.

Cuocete i biscotti in forno già caldo a 180 gradi per circa 15 minuti.
Fate raffreddare su una gratella e serviteli quando volete, anche accompagnati da un buon zibibbo. Ma anche un bicchierino di Marsala.

…vanno bene anche da soli eh, anzi… vi assicuro che nessuno potrà resistere!

Qui non si butta via niente – La frolla solo tuorli

Qui non si butta via niente – La frolla solo tuorli

Sono mesi che guardo sconsolata il barattolo di melassa che giace mezzo pieno nell’angolo a destra del frigorifero. Acquistato perchè volevo cimentarmi in una nuova preparazione, finita la fase sperimentale è restato lì a languire. Ogni volta che apro lo sportello mi guarda.
E’ severo. Mi rimprovera.

Sprecare il cibo è quel che mi fa più arrabbiare, ma mi arrabbio ancora di più quando tocca a me buttare. Per questo cerco, quando posso, di riciclare gli avanzi delle ricette in altre ricette. E poi cerco altre ricette per finire gli ingredienti della seconda ricetta e così via.
In un turbine di resti che creano e ricreano ricette, e perpetuano rimasugli di ingredienti a non finire.

Questa volta ho recuperato da morte certa due tuorli avanzati alla ricetta dei crinkle cookies che, come noto, chiamano albumi e farina di mandorle come se piovesse. Ma i poveri tuorli, non li voleva nessuno. E’ venuto in mio aiuto il celebre cuoco Luca Montersino, le cui ricette sono sempre una garanzia. E i due tuorli orfani sono finiti in gloria in questa meravigliosa frolla con cui ho realizzato dei deliziosi biscotti di frolla solo tuorli.

La frolla è semplice da preparare, e davvero vale la pena avanzare qualche tuorlo per godersi questa delizia. E se non avete tuorli a disposizione ma volete provare questa frolla… troveremo il modo per usare gli albumi!

Questi biscotti di frolla solo tuorli li ho farciti con della confettura di melograno, ma stanno benissimo con la crema alle nocciole più famosa, o quello che più vi piace.

Ingredienti:
125 g farina 00
2 tuorli
42 g burro morbido
42 g zucchero semolato
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
un pizzico di sale

Preparazione:
I biscotti di frolla solo tuorli sono veloci da realizzare. Mescolate in una ciotola la farina e lo zucchero. Aggiungete il burro ammorbidito e l’estratto di vaniglia.
Lavorate il composto con le dita fino a che non raggiunge la consistenza di una sabbia.
A questo punto, unite i tuorli dopo averli brevemente sbattuti, e cominciate ad impastare prima con la forchetta e poi a mano, in modo da amalgamare tutti gli ingredienti.

Formate un panetto e mettete la frolla a riposare un’ora in frigorifero, coperta dalla pellicola.

Recuperate la vostra frolla, e con l’aiuto di un matterello stendetela a un’altezza di poco meno di mezzo centimetro e, con i cutter per i biscotti, tagliate le vostre formine di biscotto.

Posate i biscotti sulla teglia coperta con carta forno e fate cuocere a forno già caldo a 170 gradi per circa 10/12 minuti.
Devono leggermente dorare senza scurire troppo.

Lasciateli raffreddare e poi uniteli a due a due utilizzando della confettura di vostra scelta, o crema di nocciole o pistacchi.

Crostata vegana con crema al caffè e cosa ho imparato da Veganuary

Crostata vegana con crema al caffè e cosa ho imparato da Veganuary

Gennaio, mese dei nuovi inizi, dei (buoni) propositi. Mese che saluta la pausa natalizia, stressante come ogni anno, ma quest’anno più di ogni anno, tra tamponi, quarantene, conta dei positivi e i negativi che si sentono accerchiati come l’ultimo rinoceronte bianco in mezzo a un gruppo di bracconieri armati.

Gennaio è anche il mese di Veganuary, scelto non a caso perchè, tra i buoni propositi, spesso c’è anche quello di cambiare totalmente vita. E come non catalogare la scelta vegana tra quelle che la vita non solo te la cambiano, ma te la stravolgono?
Quindi un mese, uno soltanto, si puo’ provare a mettersi alla prova, a cambiare davvero, prima di tutto, prospettiva sulle cose di ogni giorno, come mangiare. Attività primordiale e principale. Il motore dei nostri muscoli, del nostro cervello, del nostro tutto.

E adesso a noi. Perchè ho deciso per un mese intero di proporre solo (visto che questo blog è nato proprio così) dolci vegani?
(Per inciso, non solo li ho fatti, li ho anche mangiati, e con viva e vibrante soddisfazione, come diceva Crozza imitando il Presidente Napolitano!)

Perchè amo le sfide, prima di tutto. Ripensare all’ordinario facendolo diventare stra-ordinario, e non senza qualche insuccesso e disastro (che fa parte del processo di apprendimento).
Perchè probabilmente il veganesimo imperfetto diventerà sempre più preponderante, perchè il sistema alimentare attuale non so se reggerà ancora a lungo.
Perchè, comunque, i dolci vegani che mi sono riusciti (e pure quelli usciti inguardabili) sono buoni.

Difficoltà? Moltissime. Addensare un impasto senza uova spesso è una traggedia (con due g), sostituire lo zucchero con altri dolcificanti non mi è sempre riuscito, e – che sia chiaro a tutti – da solo lo yogurt di soia non lo mangerei mai perchè sa obiettivamente di cartone.

Però. L’ho fatto. Mi sono messa alla prova.
Questa è la mia ultima creazione, la Crostata vegana con crema al caffè (vegana pure lei, naturalmente). La ricetta della frolla vegan più buona, dopo una serie di tentativi, è quella del Maestro Montersino. Per la crema al caffè, ho modificato leggermente la crema pasticcera all’arancia che ho postato su Instagram ma non qui (aveva suscitato così poco interesse che non mi era perso il caso riproporla).
Fatela, vi assicuro che non ve ne pentirete. A parte che è obiettivamente buona, ma è facile, più di quanto non pensiate. La potete realizzare con del caffè amaro della moka, ma anche con il Nescafé , che segue anche pratiche di raccolta sostenibili.

Ingredienti (per una tortiera da 20 cm):
250 g farina (potete usare la 0 o anch eil farro, la 00 se non ne avete altre va bene comunque)
80 g zucchero di canna (o semolato)
60 g acqua
60 g olio di semi
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
mezzo cucchiaino di lievito
1 pizzico sale

per la crema
500 g latte di mandorla
40 g maizena
3 cucchiaini caffè solubile (per la ricetta col caffè della moka leggete la preparazione sotto)
90 g zucchero semolato o di canna
1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Preparazione:
Iniziamo a preparare la Crostata vegana con crema al caffè dalla crema.
In un pentolino mettete la maizena con un pochino di latte di mandorla. Non ne serve tanto, solo per sciogliere l’amido di mais ed evitare i grumi. Aggiungete anche l’estratto di vaniglia (o i semi di mezzo baccello) e mescolate.
Unite poi il restante latte, i tre cucchiaini di caffè solubile e lo zucchero e mescolate molto bene.

Se avete il caffè, mettete 100 ml di caffè della moka e togliete 100 ml dalla quantità di latte di mandorla.

Mettete sul fuoco il pentolino e portate il tutto a bollore a fiamma medio bassa. Quando raggiunge il bollore fate cuocere per un paio di minuti al massimo, abbassando la fiamma al minimo. Divrebbe rimanere una crema densa ma non troppo.
A questo punto, togliete il pentolino dal fuoco, coprite la crema con un po’ di pellicola per evitare che si formi la crosticina sulla superficie e fate raffreddare.

Nel frattempo preparate la frolla vegana, mettendo in una ciotola lo zucchero e l’acqua. Mescolate con una forchetta per fare sciogliere lo zucchero, poi unite l’olio e miscelate nuovamente. Infine, unite a poco a poco la farina setacciata con il lievito, e quando si sarà formato un panetto che non appiccica più, copritelo con la pellicola e mettetelo a riposare in frigo per mezz’ora.

Trascorso questo periodo, riprendete la frolla dal frigorifero, dividetela in due parti e con l’aiuto del matterello stendetela a formare un cerchio delle dimensioni della teglia (di solito metto più impasto per il sotto, così posso ben coprire anche i lati.
Ungete e infarinate la teglia (potete usare anche gli spray non stick, ce ne sono alcuni in commercio che sono vegani, come questo che uso io di Fratelli Rebecchi. Preciso che è #noadv, li compro tutti!).

Prendete la frolla stesa più grande, e mettetela sul fondo della teglia. Bucherellate il fondo con i rebbi della forchetta.
Riprendete la vostra crema al caffè, e disponetela all’interno della frolla stesa uniformandola.
Coprite poi il tutto con il secondo disco di frolla, e abbiate cura di sigillare i bordi.
Per essere sicura, con i ritagli di pasta frolla rimasti, ho ricavato tante striscioline con l’aiuto della rotella taglia ravioli, e li ho posti tutti intorno al bordo della crostata.

Fate un forellino al centro della torta, se volete mettete della granella di nocciole sulla superficie (io l’ho fatto per decorazione e perchè sono buone, ma sono opzionali, potete usare anche le mandorle o niente). Mettete quindi la Crostata vegana con crema al caffè in forno già caldo a 180 gradi e cuocete per circa 35/40 minuti.

Il mio nuovo forno è Speedy Gonzales e l’ho dovuta tirare fuori alla mezz’ora perchè si stava bruciacchiando ai lati, voi ovviamente regolatevi e estraete la torta dal forno quando inizia a dorare in superficie. In generale 35/40 minuti è la cottura che copre tutti i tipi di forno.

Quando si sarà raffreddata toglietela dalla vostra teglia e spolverate la superficie di zucchero a velo.

Se bon vi piace il caffè, che ne dite di questa Crostata vegana alle mele?

Brown is the new black e la Torta marocchino

Brown is the new black e la Torta marocchino

Ci sono entità indistinte, magiche e misteriose che, a un certo punto, decidono. Il colore di questa stagione è… viola! Verde muschio! … rosso felice (forse il rosso triste vira un po’ sul bordeaux)!

Ebbene, quest’anno è venuto finalmente il suo turno, il marrone! Bistrattato, trascurato, nascosto in fondo agli armadi… un po’ anni ‘70, un po’ demodé, torna con la sua nota calda e rassicurante, profumata di cioccolato e cannella, e di caffè. Tanto caffè.

Il marrone in cucina, invece, non esce mai di moda, e quest’anno nella mia cucina è stato sempre più un tripudio di note di marrone vario. Ma quello che torna, invariabilmente, è il tono del caffè.

Non c’è nulla che al mattino mi metta più di buonumore del profumo del caffè, il borbottio della caffettiera che mi chiama, la magia della moka che trabocca dove un secondo prima non c’era nulla.

Il caffè come sveglia anche dopo ore che mi sono alzata, come occasione per riprendere fiato e sorridere con qualche amico, il compagno che insieme a me guarda i passanti seduta al tavolino di un caffè del centro.

Una delle mie torte preferite, nella sua semplicità è la Torta cappuccino. Oggi vi propongo una mini variante, che ho realizzato senza lattosio, e che imita il marocchino. Una base di cacao, poi il caffè, e sopra uno strato alla vaniglia e yogurt, al posto della crema di latte vellutata.

L’origine del marocchino è piemontese, e precisamente ad Alessandria, ma ha la sua tradizione del famoso “bicerìn” che Camillo Benso Conte di Cavour adorava gustare nel classico bicchierino di vetro. E no, il nome “marocchino” non è una accezione razzista, ma il nome di un tipo particolare di cuoio, che all’inizio del secolo scorso veniva lavorato usando pelli di capra e montone.

La Torta Marocchino si realizza rapidamente. Questa è per una teglia da 25/26 cm di diametro, e vi assicuro che vi piacerà davvero tanto e sarà perfetta per farvi iniziare la giornata con il piede giusto.

Ingredienti:
4 uova a temperatura ambiente
300 g farina 00 (o anche di farro)
200 g zucchero semolato
125 g yogurt senza lattosio alla vaniglia
50 g yogurt senza lattosio alla vaniglia
16 g lievito per dolci
1 bustina id vanillina (o un cucchiaino di estratto di vaniglia)
125 ml olio (io di semi)
50 g latte di mandorla (o latte senza lattosio)
1 tazzina di caffè della moka
3 cucchiai di cacao amaro

Preparazione:
Montate le uova e lo zucchero in una ciotola, fino a che non diventano gonfie e chiare.
Sempre continuando a sbattere, unite i 125 g di yogurt e l’olio.

Setacciate le polveri (farina, lievito e vanillina) nel composto montato con le uova e incorporatele con una spatola (oppure usate le fruste, ma alla velocità minima).

A questo punto la base è pronta, e dovete dividerla in tre ciotole in parti uguali.

In una ciotola aggiungete i tre cucchiai di cacao e il latte, e mescolate per incorporare il tutto. In un’altra aggiungete il caffè e mescolate bene. E infine, nell’ultima aggiungete solo i 50 g di yogurt rimanenti.

Prendete una teglia di 25 o 26 cm di diametro, meglio se apribile. Foderatela con della carta forno, e versate sul fondo il composto col cacao.

Livellate bene e mettete a cuocere nel forno già caldo a 180 gradi per quindici minuti.

Trascorso il periodo, riprendete la torta marocchino, e versate sopra lo strato al cacao quello al caffè, e rimettete a cuocere altro 15 minuti.

Infine, trascorsi anche questo quarto d’ora, coprite con il composto alla vaniglia e terminate la cottura della torta marocchino ancora per 15 minuti.

Estraete la torta marocchino solo una volta che si sarà raffreddata, e copritela con una generosa spolverata di zucchero a velo.

… e buona colazione a tutti!

Non uno strudel qualunque

Non uno strudel qualunque

Dico Natale duemiladiciotto e nella mia bocca suona come la storia fantastica di una lontana galassia. La pandemia ha messo tra il prima e il dopo uno spazio siderale, quasi come se il mondo non fosse più lo stesso, e se quel ricordo di solo tre anni fa appartenesse a una infanzia felice, un luogo-non-luogo della memoria in cui la realtà si confonde con la fantasia.

Eppure, lo giuro, ai mercatini di Natale di Trento ci sono stata, in quel lontano duemiladiciotto. Faceva freddo. Tanto. Era nevicato da poco, nelle strade c’erano lastre di ghiaccio, cumuli di neve, pozzanghere e luci.
Non ero mai stata a un mercatino di Natale, mi piaceva l’idea di tornare a casa carica di canederli (fatto!), ninnoli, gadget natalizi. Invece ho camminato, tanto. Giravo in tondo alla piazza a guardare tutte le bancarelle, piazza per piazza. Poi mi spostavo, e mi piazzavo a contemplare le vetrine piene di maglioni, mentre coltivavo i miei geloni ai piedi.

A metà pomeriggio, però, ho gettato la spugna e sono entrata in una pasticceria. Cercavo un tè caldo, per recuperare un po’ di circolazione e sciogliere il sangue ghiacciato, e mi sono ritrovata a sbocconcellare uno strudel spettacolare. Appena uscita, mi sono trovata davanti i suonatori di corno, i cori di Natale, la gente che guardava lo spettacolo con il sorriso.
Da allora il dolce di Natale è lo strudel.

Questo strudel non è proprio quello, ma gli somiglia molto. Ho rubato la ricetta a Maurizio Santin, ho solo ridotto le quantità e modificato un po’ il ripieno in base a quello che avevo in casa.
Fare la pasta strudel mi ha dato una soddisfazione enorme. E’ incredibilmente elastica, a stenderla bene diventa una sfoglia sottilissima, ed è perfetta per fare lo strudel. Certo, nulla vi vieta, per fare in fretta, di prendere la sfoglia pronta. Però, vi assicuro, una volta provate a farla in casa, vi riserverà una piacevole sorpresa.

La versione che vi propongo è per uno strudel medio, direi per sei persone.

Ingredienti:
125 g farina 00
25 g burro
10 g zucchero
1 uovo
acqua tiepida q.b.
1 pizzico di sale

per il ripieno
400 g mele
35 g zucchero di canna
25 g uvetta ammollata
scorza 1 arancio
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
15 g pinoli tostati
12 amaretti

Preparazione
Iniziamo a preparare la pasta strudel mettendo nella planetaria (o nella ciotola) la farina e il sale.

Rompete l’uovo e sbattetelo leggermente. Mettetene circa 3/2 in un’altra ciotola e scioglietevi all’interno lo zucchero, sbattendo con una forchetta. Il terzo di uovo rimanente mettetelo da parte.

Fondete anche il burro, fate raffreddare un poco.

Mettete nella planetaria l’uovo con lo zucchero e il burro e impastate a velocità bassa con il gancio.
Appena vedete che gli ingredienti si sono amalgamati (ma saranno comunque slegati) iniziate ad aggiungere l’acqua tiepida, un cucchiaio per volta in modo da regolarvi bene.
L’impasto è pronto quando sarò diventato liscio ed omogeneo, ma non appiccicoso.

Mettetelo a riposare coperto dalla pellicola a temperatura ambiente per circa due ore.

Nel frattempo tagliate le mele a dadini dopo averle private di buccia e torsolo. Aggiungete lo zucchero, le zeste di arancia, la cannella, l’uvetta che avrete ammollato prima in acqua leggermente tiepida), i pinoli tostati (basterà metterli qualche minuto in un pentolino antiaderente, quando sono pronti inizieranno a sudare) e gli amaretti sbriciolati grossolanamente. Fate macerare per un’ora.

Riprendete la pasta strudel, stendete un canovaccio infarinato sul piano da lavoro e sopra di esso la pasta strudel. Iniziate a stenderla con il matterello in un rettangolo un po’ alto, e con uno spessore di circa 3 millimetri. Poi potete allargarla con le mani per ottenere una consistenza leggerissima.

Mettete il ripieno con le mele al centro, lasciando almeno un centimetro dal bordo per chiudere bene.

A questo punto, chiudete lo strudel dal lato corto arrotolandolo, aiutandovi con il canovaccio. Fate attenzione a chiudere bene anche le parti laterali!

Spennellate la superficie con il terzo di uovo che vi era rimasto dall’impasto.

Mettete a cuocere in forno già caldo a 170 gradi per circa 90 minuti.

Controllate sempre la cottura ogni forno fa da sé.

Quando è freddo cospargere di zucchero a velo.

Torta alle prugne e mandorle per salutare l’estate

Torta alle prugne e mandorle per salutare l’estate

Eh, signora mia! Non ci sono più le mezze stagioni! Mercoledì eravamo presi alla gola da un’afa di quelle cattive anche a settembre, e tra umidità esterna e mascherina si sudava che nemmeno a luglio. Stamattina 14 gradi – e dico quattordici! – e via di piedi gelati e starnutino di buongiorno!
Mi sono lamentata della fine dell’estate per giorni, e so di essere stata pedante e petulante. Eppure stamattina ecco che apro la porta e ho un assaggio dell’autunno, che mi trova totalmente impreparata! Non ho nemmeno imparato ad accendere il riscaldamento dell’auto nuova… così non si fa!

Naturalmente siamo nella settimana che cammina sul crinale delle stagioni, e come ogni anno mi stavo cimentando nel mio sport preferito, ovvero fare dolci con le prugne senza postarne la ricetta! Ho preparato, negli anni, crostate deliziose con tanto di foto (bruttina quella, ma purtroppo ognuno ha i suoi limiti!) che poi sono finite nel dimenticatoio. Non so perché le torte con le prugne fanno sempre questa brutta fine, dalle mie parti. Eppure sono il frutto di stagione per eccellenza, quello che ci prende la mano calda e ce la restituisce freddina.

Per anni ho vissuto nella errata convinzione (o misapprehension, in milanese moderno) che le prugne si chiamassero susine e le susine prugne. Come quando ti presentano uno che si chiama, che so io, Michele, e tu imperterrito lo saluti “ciao Pietro!”, dimenticando ogni volta il suo vero nome! (Ogni riferimento è puramente casuale… non è vero, in realtà. Queste gaffes ogni tanto le faccio pure io!).
Shakespeare è assai romantico quando fa dire a Giulietta “che cos’è un nome?”. In realtà, almeno stavolta, un nome è importante per evitare che il fruttivendolo ti sotterri di susine quando, in realtà, avresti voluto delle dolcissime prugne (che sono quelle un po’ bislunghe, per intenderci).

Quindi mi stringo nel soprabito, soffio il naso, e vi lascio questa semplicissima ricetta di vera metà stagione, un po’ estate e un po’ no. La Torta alle prugne e mandorle è perfetta per la prima colazione. Le mandorle danno quel bel saporino robusto tipico dell’autunno, mentre le prugne chiamano ancora il sole dolce dell’estate. Insieme sono una favola! Se siete un po’ più autunnali potete anche azzardare un po’ di cannella (io l’ho fatto, e il profumo ci guadagna!), altrimenti lasciate pure che siano prugne e mandorle a raccontarci il mese di settembre!

Dimenticavo: questa ricetta non ha lattosio. Se avete problemi su quel versante, questa torta fa proprio al caso vostro!

Ingredienti (per una teglia da 18 cm):
100 g farina di mandorle
100 g farina 00
100 g zucchero semolato
8 g lievito vanigliato
2 uova
80 ml olio (io di riso)
un cucchiaino di cannella (opzionale, ma io lo preferisco)
buccia grattugiata di un limone
4/5 prugne tagliate in quarti
2 cucchiai di zucchero di canna
qualche manciata di mandorle a lamelle

Preparazione:

In una ciotola, montate le uova con lo zucchero fino a che non si saranno almeno duplicate in volume. Aggiungete, a questo punto, la scorza grattugiata del limone, la farina OO e il lievito (che dovete setacciare, per una miglior lievitazione della torta).
Unite poi anche la farina di mandorle, che io consiglio di setacciare. Lo so che è lunga così, ma in questo modo si incorpora ancora più aria, e il risultato di una bella crescita della torta e di una certa sofficità è garantito.

Mescolate bene con una spatola e poi aggiungete la cannella (io la consiglio, se non vi piace omettetela).

Infine, aggiungete anche l’olio, e mescolate ancora, in modo che l’impasto ammorbidisca.

In realtà vedrete che l’impasto non sarà liquido, ma abbastanza consistente. In questo modo, la frutta non sprofonderà ma resterà ben in superficie.

Prendete uno stampo (meglio a cerniera) e copritelo con la carta forno (oppure imburratelo e infarinatelo).
Versate quindi l’impasto della Torta alle prugne e mandorle nello stampo, livellandolo leggermente.

A questo punto, lavate le prugne e tagliatele in quarti, e disponetele a raggera sulla superficie dell’impasto.

Quindi, spargete sulla superficie lo zucchero di canna e le mandorle a lamelle.

Infornate nel forno già in temperatura a 170 gradi e cuocete per circa 45/50 minuti. Mi raccomando, fate sempre la prova stecchino!

Lasciate intiepidire la torta prima di estrarla dallo stampo. Se volete potete anche spolverizzarla con lo zucchero a velo, ma a me piace così, al naturale.

La Torta alle prugne e mandorle è perfetta per accompagnare le vostre colazioni. E a proposito di prugne e colazioni, se volete un’alternativa, che ne dite di provare i Pancakes e la confettura di prugne e vaniglia?