Torta zebrata. Quando le dimensioni contano

Torta zebrata. Quando le dimensioni contano

Ci sono diversi stratagemmi che la gente usa per addormentarsi. Anche io ne ho alcuni: mi racconto storie, spesso cambio i finali perchè non sempre ho lo stesso stato d’animo della notte precedente; talvolta cerco di ricordarmi a memoria le note di un brano che sto studiando (con il rischio di andare ancora più nel panico quando mi accorgo che mi sono dimenticata una battuta); altre volte sto ad ascoltare i rumori fuori (ma solo quando piove).
Un’altra cosa che faccio spesso è cercare di risolvere i grandi misteri della vita e dell’universo, e tra tutti uno, a caso: ma come mai la torta zebrata mi viene sempre a punta come se fosse il Vesuvio? Questa ricetta l’ho fatta già diverse volte, perchè è perfetta per la colazione. Bella umida e soffice, con una particolare decorazione che mette allegria – e, credetemi, alcune mattine hanno proprio bisogno di una colazione che metta il buonumore.

Però le ultime volte mi veniva sempre modello Vesuvio. Un bel cono che esplodeva sulla sommità. Comunque buona, ma bruttina e non fotografabile. La realtà è che seguivo una ricetta che avevo trovato in un opuscolo che, secondo me, avrà una quarantina di anni, e che ancora gira tra i libri di cucina della mia mamma. E’ il famigerato (ogni tanto ne parlo, perchè è una vera miniera) inserto pieghevole di un settimanale famoso negli anni Ottanta che si chiamava Bella, e che ormai non esiste più. Oltre a dare consigli per praticamente tutto (smacchiare, pulire, sistemare) c’è una sezione di cucina con qualche ricetta semplice ma ottima.
Anche alla mia mamma le torte di quell’opuscolo venivano sempre a Vesuvio, anche se non avevano mai visto Napoli. C’è da dire che l’armamentario della cucina di casa nostra, in quanto a pasticceria, lasciava assai a desiderare. C’era una sola teglia, in alluminio, che durante il trasloco aveva preso così tanti colpi che era piena di bozzi, e il fondo si era pure un po’ incurvato. Davo la colpa a questa forma assurda del fatto che proprio le torte non riuscivano a lievitare bene e venivano tutte appuntite. In realtà, la verità è che il primo problema stava nella ricetta, che non sdava la dimensione della teglia.

L’istruzione “prendete una teglia” è tanto vaga quanto chiedermi se ricordo il teorema di Pitagora. Vagamente, diciamo.
In realtà, le misure sono molti importanti quando si fanno dolci. Temperature, ma anche teglie. Avendo quasi sempre usato una teglia da 22 cm, che è poi il passe-partout di quasi ogni ricetta (ribadisco “quasi”), compariva il famoso vulcano. Obiettivamente brutto.

Così ho voluto provare nuovamente la ricetta, cambiando la teglia. E sono arrivata a 25 cm. Secondo me, qui va bene una teglia da 26 cm con queste quantità, ma direi che ci siamo quasi. La Torta Zebrata fatta così è quasi perfetta. Se amate i dolci da credenza come me, non vi resta che provarla. E buona colazione!

Torta Zebrata (per una teglia da 26 cm)
Ingredienti:
300 g farina 00
250 g zucchero semolato
4 uova medie
16 g lievito per dolci
1 bustina vanillina
250 ml latte
100 ml olio di semi
due cucchiai colmi di cacao non zuccherato

Procedimento:
Prendete una ciotola e montate, con l’aiuto delle fruste elettriche, lo zucchero con le uova (intere).
Successivamente, sempre con le fruste in funzione, unite l’olio e poi il latte (non freddo, mi raccomando).
Setacciate la farina e la vanillina, e unitela alle uova montate con lo zucchero. Potete anche usare le fruste per amalgamare il composto, l’importante è che le fruste siano alla velocità più bassa.
Setacciate poi per ultimo anche il lievito e mescolate.

Dividete l’impasto in due, e in una delle due parti unite anche il cacao setacciato. Mescolate bene per evitare i grumi.

Prendete la vostra teglia da 26 cm di diametro; foderatela con della carta forno.
Mettete poi al centro della teglia tre cucchiai dell’impasto chiaro, e poi al centro di questo due cucchiai dell’impasto scuro. Poi ancora tre cucchiai di impasto chiaro al centro di quello scuro e poi due cucchiai di quello sciro al centro dell’impasto chiaro.

Andate avanti così ad alternare i due impasti fino al loro esaurimento.

Infornate la vostra Torta Zebrata nel forno già caldo a 180 gradi (statico) e cuocete per circa 30 minuti.
Date un’occhiata sempre, perchè ogni forno è diverso dall’altro.
Mettete la torta nel ripiano medio basso del forno e fare sempre la prova stecchino. Se esce pulito, allora la torta è pronta.
Nel caso vedeste che i bordi di scuriscono ma la torta è cruda al centro, copritela con un foglio di alluminio, in modo da evitare che si bruci sopra mentre finisce di cuocere.

Torta di fragole e ricotta… e poesia

Torta di fragole e ricotta… e poesia

La scorsa settimana, quasi per gioco, ho lanciato su Instagram una mini rubrica, che ho chiamato con eccessiva prosopopea #unlibrounaricetta. Non sono particolarmente nota per i miei hashtag, anzi. Però questa volta ho ricevuto commenti abbastanza incoraggianti, che mi hanno spronato a sfrugugliare ancora nella mia libreria alla ricerca di qualcosa di nuovo.

Tra i libri che sto leggendo non sempre trovo qualche ricetta accattivante che è la protagonista del libro, oppure un felice incidente (alcuni sceneggiatori americani lo chiamano anche meet cute) da cui si dipana la storia. Ma da qualche tempo ho sul comodino un libro molto grazioso, scritto da Erri De Luca, notissimo scrittore napoletano, che si intitola Spizzichi e Bocconi. E’ un poetico viaggio nella sua storia attraverso odori, sapori, consistenze e tanti, tantissimi ricordi. Chi conosce De Luca, forse sarà rimasto spiazzato dal libro (che contiene anche degli interventi di un nutrizionista biologo che, come un contrappunto, riprende e amplia scientificamente le storie alimentari narrate nel libro).
Leggendolo bene, o rileggendolo come è capitato a me, la poetica e lo stile di De Luca escono anche da semplici narrazioni di ragù, osterie, pane e acqua… e una torta di fragole.

Nel libro non c’è la ricetta della torta, ma il ricordo di essa, e della paletta d’argento usata per servirla in tutti i compleanni della sua infanzia. Essendo anche io di maggio come De Luca, capisco i suoi ricordi legati alle fragole grosse e profumate, come solo sanno esserlo i frutti di stagione. E ricordo la paletta d’argento, incisa come un merletto, usata per servire le torte dei miei primi compleanni. Quelli in cui si mangiava la Sant’Honoré perchè “era un giorno speciale”, in cui ci mettevamo tutti intorno al tavolino del soggiorno, con i bambini seduti a terra, con tutti i nonni ancora con noi, le candeline che mia cugina insisteva a voler soffiare al posto mio, e la piccola paletta merlettata da cui raccoglievo la panna con il dito.

In onore di “Spizzichi e bocconi” vi propongo una ricetta di Torta di fragole e ricotta veramente facilissima, che potete anche fare con lamponi, mirtilli.. ciò che più vi piace. Si prepara velocemente, e poi fa tutto il forno. Non dovete preoccuparvi più di niente, se non di trovare un buchino per una fettina. Vi assicuro, vale la pena trovarlo.

Torta di fragole e ricotta
Ingredienti (per una teglia da 22 cm):
250 g farina 00
180 g zucchero semolato
3 uova
250 g ricotta vaccina
40 g olio (io uso quello di riso, il sapore deve essere molto dolce)
8 g lievito
la buccia grattugiata di un limone bio
300 g fragole più alcune per la decorazione (se vi va)
un pizzico di sale
zucchero a velo per servire

Preparazione:
Lavate bene le fragole, asciugatele e tagliatele a pezzetti; mettete da parte.

In una terrina capiente montate le uova con lo zucchero semolato fino a che non diventano belle chiare e spumose. Ci vorranno all’incirca 5 minuti.
Unite poi l’olio, sempre con le fruste accese ma a velocità ridotta, e un pizzico di sale.

Dopo l’olio, unite anche la ricotta ben sgocciolata, a due o tre riprese, sempre con le fruste a velocità bassa, e la buccia grattugiata del limone.

Unite poi la farina setacciata con il lievito, e mescolate bene per evitare i grumi.

Infine, unite le fragole, che dovrete aver anche leggermente infarinato prima di gettarle nell’impasto. Amalgamate con una spatola molto delicatamente per evitare di rompere le fragole.

Mettete l’impasto in una teglia da 22 cm già foderata di carta forno. Se volete potete mettere sulla superficie dei pezzetti di fragola aggiuntivi. Poi cuocete in forno a 180 gradi (statico) per almeno 45 minuti.
Il tempo di cottura varia un po’ in questa torta, perchè dipende dalla succosità delle vostre fragole. Potrebbero volerci anche un dieci/quindici minuti in più.

La torta è cotta quando lo stuzzicadenti uscirà pulito.

Lasciate raffreddare nella teglia, poi decorate con zucchero a velo.

Avendo frutta fresca nell’impasto, per conservarla ed evitare muffe sarebbe meglio metterla coperta in frigorifero, e consumarla entro pochi giorni.

Brioches al miele e il primo weekend di primavera

Brioches al miele e il primo weekend di primavera

No, non guardare il calendario. Quello appena trascorso è stato un weekend di primavera in anticipo, un regalo inaspettato di questo pazzo tempo. Cieli tersi, fresco al mattino, tepore al pomeriggio. Il tempo perfetto per rallentare un attimo, perdersi dietro le prime fioriture, contemplare la natura rinascere, anche in mezzo al cemento di Milano.

Il tempo perfetto per ricominciare a panificare. Mancavo a questo appuntamento da un po’. Per panificare ci vuole serenità. La mente sgombra di pensieri, il cuore più leggero. Negli ultimi tempi non è stato semplice avere lo spazio mentale necessario per impastare, sedere e aspettare. I giorni si sono susseguiti così veloci, col cuore in gola, a sbrogliare gli ingarbugliati gomitoli degli eventi – o, per meglio dire, degli accidenti. Cinque mesi vissuti vorticosamente, come dentro un’enorme centrifuga.

Grazie al cardiologo, e ad un piccolo problema di ripolarizzazione (risoltosi da solo, per fortuna), il mio cuore, il mio cervello ed io abbiamo tenuto un rapido consesso, al termine del quale ne siamo usciti con una mozione unitaria. Basta così, rallenta.

Il giusto freno sono state queste sofficissime Brioches al miele, senza lattosio (e quindi senza burro, nel caso foste già in modalità prova costume), che ho fatto lievitare in frigo perché, ahimè, mi sono accorta tardi di aver finito le uova e non ne avevo per spennellare prima di infornare. Questo piccolo inconveniente mi ha però dato l’occasione per provare un procedimento perfetto per le colazioni del weekend, che vi lascio. Si fa il venerdì sera, e si inforna il sabato mattina, per avere le brioches al miele già pronte per l’ora di colazione (solo che voi non vi sarete dimenticati le uova..).

Con queste quantità ne dovrebbero uscire una decina di dimensioni regolari. Questa volta io ho usato solo manitoba, ma solitamente mi piace farle come quelle del bar con della farina integrale – vi lascio qui sotto la versione “originale” semi integrale.

Brioches al miele 
Ingredienti:

Per la biga (da preparare la sera prima):
100 g farina manitoba
100 g acqua a temperatura ambiente
10 g lievito di birra fresco

Per l’impasto:
200 g farina manitoba
200 g farina integrale
2 uova (io medio grandi)
50 g latte di mandorle (se non avete problemi usate pure quello vaccino)
50 g zucchero semolato
40 g miele (io avevo a casa il millefiori, ma anche l’acacia va bene)
80 ml olio (di riso o di oliva, ma deve essere di oliva dolce)
un cucchiaino di essenza di vaniglia
un pizzico di sale

Per glassare:
un uovo e 50 ml di latte di mandorle
miele

Preparazione:

La sera prima preparate la biga mescolando in una ciotola i tre ingredienti (io sciolgo il lievito nell’acqua prima di incorporarla alla farina), e coprite con della pellicola. Lasciate a temperatura ambiente un’ora, per permettere al lievito di attivarsi.

Trascorsa l’ora riprendete la biga, mettetela in una ciotola più grande (o nella impastatrice – vi assicuro che fa la differenza!) e aggiungete le due farine (manitoba e integrale), lo zucchero e il miele, il pizzico di sale e l’estratto di vaniglia.
Sbattete leggermente le uova col latte di mandorle, e unitele al resto degli ingredienti, e iniziate a impastare.

Una volta che questi ingredienti si sono mescolati tra loro, completate l’impasto con l’olio, che va unito a filo mentre si continua ad impastare.
Il risultato sarà un impasto molto morbido, ma va benissimo così.

Trasferite l’impasto in una ciotola leggermente unta con dell’olio a far lievitare. Io l’ho lasciato così, coperto dalla pellicola, prima per un’oretta scarsa fuori, e poi in frigo tutta la notte. Potete però anche lasciarlo fuori, in questo caso attendete la lievitazione fino al raddoppio (a seconda della temperatura in casa vostra ci potrebbero volere un paio di ore).

Riprendete l’impasto, e con l’aiuto di un matterello stendete l’impasto in una lunga striscia alta una ventina di centimetri e spessa circa 1 cm. Se non riuscite, o avete un piano di lavoro piccolo, potete ovviamente dividere a metà l’impasto.
Tagliate dei triangoli con una base di circa 6/8 cm. Fare un piccolo taglietto a metà della base, e poi arrotolate le brioches al miele dando la forma classica della mezzaluna.

Mettete le brioches al miele così formate su una teglia coperta di carta forno, e lasciate lievitare ancora una mezz’ora (non serve coprirle) mentre il forno raggiunge la temperatura di 200 gradi.
Prendete un uovo, sbattetelo con poco latte di mandorla (tre cucchiai bastano) e spennellate la superficie delle brioches al miele. Potete decorarle con scaglie di mandorla, come ho fatto io, ma anche lasciarle così.

Cuocetele cinque minuti 200 gradi e poi altro 10 a 180 gradi.
Quando avranno finito di cuocere, attendete che si intiepidiscano e poi spennellatele con un po’ di miele.

Naturalmente potete mettere all’interno anche un po’ di miele come ripieno. Io non ne avevo abbastanza questa volta, ma la prossima ce lo metto di sicuro!

Salvate il brutto anatroccolo! I biscotti ripieni di fragole

Salvate il brutto anatroccolo! I biscotti ripieni di fragole

Per quanto mi impegni a imparare a fare bene la spesa, purtroppo ci casco sempre. Avete voglia a girare col carrello e il foglietto in mano, a spuntare diligentemente la lista. Quando arriva lei, potete scommetterci che novantanovevolte su cento ci casco.
Arriva mascherata da qualsiasi cosa. L’offerta speciale, l’idea che balena all’improvviso, il “ne compro un altro perchè non si sa mai”, e .. tac. Il carrello si riempie di cose talvolta superflue, talvolta inutili, che poi hanno la tendenza ad andare a male molto più velocemente di quanto avrei mai voluto.

Sprecare il cibo è inqualificabile, ma sembra che questo non ci fermi dal buttarlo. Si stima che ogni anno un terzo del cibo prodotto nel mondo venga buttato o sprecato. Sono miliardi di tonnellate, per dire. Trenta chili pro capite. Una enormità.

Prendo spunto proprio dal Giorno della Terra, che ormai dal 1970 celebra il 22 aprile di ogni anno la giornata del nostro piccolo pianeta blu, come preservarlo e proteggerlo (purtroppo da noi), per ricordarci che il cambiamento nasce dalle piccole cose. Tipo dal carrello della spesa.

La ricetta che vi propongo oggi è non solo facile, ma utilissima per evitare di buttare la frutta un po’ troppo matura, magari ammaccatuccia. La frutta di oggi (rigorosamente di stagione!) sono le fragole che stavano tirando gli ultimi in frigorifero, ma la ricetta è talmente versatile che la potete rifare durante tutto l’anno, con quel che offre la natura. Pesche bianche e rosmarino, albicocche, frutti rossi e limone, prugne e vaniglia…

Ultimo particolare, non da poco per i fanatici della dieta: non c’è burro. Malgrado questo, i biscotti ripieni di fragole sono irresistibili. Vi lascio la ricetta con dosi per circa 26 biscotti del diametro di circa.. direi 6 millimetri. Potete usare un tagliabiscotti, ma anche una tazzina de caffè. Tondi, cuoricini… libero spazio alla fantasia.
C’è solo un mantra, obbligatorio.
Non si butta la frutta brutta.
Si fanno i biscotti più buoni del mondo.

Ingredienti:
400 g farina 00
2 uova medie
140 g zucchero semolato
120 g olio (delicato, io uso quello di riso)

per il ripieno:
200 g fragole
2 cucchiai zucchero
1 cucchiaino di maizena
un cucchiaino estratto di vaniglia (opzionale)

Preparazione:

Iniziamo a preparare i biscotti ripieni di fragole mettendo le fragole lavate e tagliate a pezzettini (e prive del picciolo) in un pentolino, con lo zucchero e l’estratto di vaniglia (se lo volete). Lasciate qualche minuto sul fuoco dolce mescolando di tanto in tanto, fino a che lo zucchero non si sia sciolto.
A questo punto, sciogliete la maizena in un cucchiaio di acqua in modo che non faccia grumi, e poi versatela sulle fragole, mescolando. Lasciate cuocere la frutta altri dieci minuti, mescolando spesso per evitare che si attacchi o bruci. La frutta sarà pronta quando avrà iniziato a sfaldarsi un po’ e il succo rilasciato dalla frutta avrà iniziato a condensarsi.
Togliete quindi dal fuoco e fate intiepidire.

Nel frattempo, potete preparare la frolla all’olio.
In una ciotola rompete le uova, aggiungete l’olio e lo zucchero ed emulsionate con una frusta a mano o una forchetta, in modo che lo zucchero inizi a sciogliersi.
Poi aggiungete la farina in tre riprese, aggiungendo quella successiva appena la precedente si sarà assorbita.

Poichè l’assorbimento della farina dipende dalla grandezza delle uova, se queste sono medio grandi potreste aver bisogno di qualche cucchiaio di farina in più. La frolla è pronta quando avrà smesso di essere appiccicosa.

Il bello della frolla all’olio è che non necessita di riposo.
Quindi, potete stenderla subito su un foglio di carta forno leggermente infarinato, tenendo uno spessore di circa tre/quattro millimetri (io vado a occhio, quindi non avete bisogno del goniometro!!!). Con il vostro tagliabiscotti (o coppapasta, o quel che avete) tagliate i dischi in numero pari, visto che poi li dovete accoppiare.

Ponete sulla teglia (coperta da un foglio di carta forno) metà dei dischetti, punzecchiateli leggermente con i rebbi della forchetta, e poi ponete al centro un po’ di fragole cotte (un cucchiaino, direi). L’importante è che lasciate un bordino intorno per sigillare il biscotto.

Ponete sopra alle fragole il dischetto di frolla di chiusura, premete leggermente sui bordi con le dita e poi chiudete bene con i rebbi della forchetta. Continuate fino ad esaurimento della pasta frolla.

Mettete la teglia con i vostri biscotti ripieni di fragole nel forno già caldo a 180° per circa venti minuti. Dovete toglierli quando iniziano a colorarsi leggermente.

Prima di staccarli dalla teglia attendete che si siano leggermente intiepiditi.

Potete servirli spolverati di zucchero a velo, ma anche senza. Sono buoni comunque. Se uscirà un po’ di liquido dalla calotta del biscotto, non vi preoccupate… è il succo più buono del mondo!

Matti per le fragole? Un’altra idea di biscotti alle fragole la trovate qui.

Torta di farro all’olio di oliva e limone e la grande paura

Torta di farro all’olio di oliva e limone e la grande paura

Scrivere questo post mi pare un miracolo. Ho aperto questo piccolo spazio nella rete qualche anno fa ormai, la seconda esperienza dopo una prima volta finita un po’ male, per condividere una piccola passione con chi, come me, ha voglia di rilassarsi standosene con le mani in pasta.
Prima di schiacciare il bottone “pubblica” avevo mille aspettative, paure e paranoie. Ogni foto, ogni ricetta, provata e riprovata, l’emozione dei primi commenti (“allora c’è qualcuno là fuori!”), il dubbio di cosa e come scrivere, la voglia di scrivere e raccontare, attraverso le ricette, la vita.
Talvolta con tanta fatica, perchè la vita là fuori incalza, e non sempre avevo voglia o avevo, semplicemente, qualcosa da dire.

All’improvviso, tutto questo era scomparso. Una pagina bianca al posto delle tante foto e parole che ben conoscevo mi ha fatto temere per il peggio. Possibile che avessi perso tutto? Quattro e oltre anni di lavoro potevano essere spariti così?
Alla notte mi chiedevo se avessi schiacciato un testo, il classico bottone rosso dell’autodistruzione. Ma non saprei nemmeno dove si trova. Allora ho iniziato a pensare che, forse, era il destino che cercava di dirmi qualcosa – lascia stare, che tanto non è roba per te, questa.

Probabilmente non lo è roba per me, questa.
Talvolta però mi soffermo a pensare a come sia bello cucinare insieme. Io pubblico una ricetta così, una domenica sera qualunque; magari qualcuno ci inciampa dentro, magari ci arriva tramite IG. Diciamo dieci persone, per essere ottimisti. Di queste dieci, due pensano che sì, la possono anche fare quella ricetta. Si mettono a prepararla insieme a me, che parlo loro attraverso queste parole, e siamo in tre a cucinare questa stessa cosa, e chiacchieriamo di farine, uova e zucchero.
E poi quel qualcosa esce dal forno, e che so, quattro o cinque persone assaggiano, e gli piace.
Così questo breve testo, scritto una domenica sera, mi ha messo in contatto con dieci persone che non conoscerò mai, ma che sono state con me in qualche modo.
E non potete sapere quanto questo mi faccia stare bene.

Un’altra cosa che conforta è questa Torta di farro all’olio di oliva e limone. La ricetta base l’avevo tirata giù da un sito americano che purtroppo non ho segnato subito, e quindi chiedo venia all’autrice. C’era una quantità di olio che mi pareva perfino un po’ imbarazzante, e quindi l’ho in parte sostituita con del latte di mandorla, che col limone sta davvero bene. Il risultato è stata una torta alta e morbida, con un profumo delicato e una leggerezza meravigliosa. La farina di farro completa l’opera (ma potete anche usare la farina 00).
La Torta di farro all’olio di oliva e limone è anche semplicissima da fare, quindi non avete scuse per non prepararvi una deliziosa torta per la prima colazione. La quantità di ingredienti è per una teglia da 20/max 22 cm.

Ingredienti:
250 g farina di farro
220 g zucchero semolato
100 ml olio di oliva extravergine (meglio se di gusto fruttato)
100 g latte di mandorla
succo e zeste di 1 limone (naturalmente bio e con buccia edibile!)
16 g lievito
3 uova

Preparazione:
La Torta di farro all’olio di oliva e limone è il paradigma della semplicità. Vi serve solo lo sbattitore e un po’ di buona volontà. Se avete questi due strumenti, avete già metà torta preparata!

Mettete le uova e lo zucchero in una ciotola e con lo sbattitore elettrico montatele per bene, fino a duplicarle di volume. Ci vorranno circa cinque minuti, ma credetemi, ne vale la pena per la sofficità della torta (sofficità…. si dice, vero?).
A questo punto, incorporate l’olio (sempre con lo sbattitore in azione), il latte di mandorla, il succo e le zeste del limone grattugiate finemente.
Per ultimo, unite le polveri, cioè la farina di farro e il lievito.
Per aumentare la lievitazione e renderla bella alta bisogna incorporare aria, e questo si può fare non solo sbattendo bene le uova, ma anche setacciando la farina col lievito.

Foderate di carta forno una tortiera di 20/22 cm di diametro, versate l’impasto così ottenuto, livellatelo e cuocete nel forno già caldo a 160 gradi per i primi 35 minuti; coprite lo stampo con un foglio di carta di alluminio (così la torta non si scurirà troppo) e alzate a 180° la temperatura del forno, e cuocete ancora almeno mezz’ora.
Questi tempi li ho testati per lo stampo da 20 cm, per quello da 22 cm abbassate di 10 minuti i tempi di cottura con le due temperature.
Non ho provato, ve lo dico subito, ma a occhio dovrebbe funzionare. In ogni caso, fate sempre la prova con lo stecchino.

Una volta cotta, capovolgete la Torta di farro all’olio di oliva e limone sulla gratella e fatela raffreddare per bene prima di toglierla dalla teglia.
Servitela con la glassa al limone oppure, se siete di corsa come me, basta una spolverata di zucchero a velo.

I vichinghi e il salame di cioccolato (vegano)

I vichinghi e il salame di cioccolato (vegano)

Le due bibbie dei bambini degli anni Settanta del secolo scorso erano Il Manuale di Nonna Papera e Il Manuale delle Giovani Marmotte. Edizioni 1970 e 1969, rispettivamente.
Non erano libri, ma scuole di vita.
Se adesso guardo un tronco di un albero e vedo il muschio verde su un lato del tronco so subito dov’è il nord. E non l’ho studiato a scuola, ma sul Manuale delle Giovani Marmotte, terza edizione per la precisione.
Noi, bambini di città, lo leggevamo avidamente. Io, poi, lo avevo in mano continuamente.
Le Giovani Marmotte stanno alla vita all’aria aperta come il Manuale di Nonna Papera sta alla cucina.
Prima delle due Benedette, di Knam e il cioccolato, di Massari e dei pasticceri star c’era lei.
Nonna Papera.
Ma come dimenticare la ciambella Inca-Urka? O il latte Buglione, che era una sorte di dulce de leche?
A casa nostra andava o la torta di mele, fatta in una teglia di alluminio piena zeppa di bozzi dalle tante cadute che aveva fatto, oppure e soprattutto il salame di cioccolato, che la Nonna Papera chiamava Salame Vichingo.

In realtà il Salame di Cioccolato si chiamerebbe Salame turco per via del colore, ma tanti lo chiamano anche salame inglese o salame del re. E’ diffuso in un sacco di regioni in Italia, ma va forte anche in Portogallo. E’ facilissimo da fare, bellissimo da vedere, scenografico da fotografare.
Ogni regione ha la sua versione. In Piemonte gianduia e nocciole la fanno da padrona. In Emilia Romagna non può mancare sulle tavole pasquali, anche per usare gli avanzi delle uova.

Poi c’è quello di Nonna Papera, che era “vichingo” perchè sui fianchi delle loro navi venivano esposti (secondo la nonna, che evidentemente c’era…) scudi neri e gialli, che hanno ispirato la Nonna di Qui Quo e Qua a ribattezzare il famoso salame dolce.

Per ultima arrivo io, con la versione vegana del salame di cioccolato, che fa a meno di uova e burro, ma che è comunque buonissima. Anzi, proprio per questo ha un gusto di cioccolato bello deciso, e con un po’ di rum (ma potete ometterlo) si farà sicuramente ricordare.

Ingredienti:
200 g cioccolato fondente
120 g di biscotti vegan (meglio secchi)
120 g di frutta secca (io ho usato anacardi e mandorle, potete usare anche le nocciole)
60 g latte di mandorla
50 g olio di semi
un cucchiaio di rum (opzionale)
mezzo cucchiaino di essenza di vaniglia
cannella
zucchero a velo per decorare

Procedimento:
In un padellino tostate la frutta secca, e mettetela da parte a raffreddare.

Prendete il cioccolato, tagliatelo a pezzetti e scioglietelo a bagnomaria.
Fatelo intiepidire, e intanto riprendete la frutta secca, tagliatela al coltello e mettetela da parte.
Sbriciolate anche i biscotti con le mani, così avrete dei pezzi irregolari che daranno un ottimo aspetto al vostro salame.

Quando il cioccolato si sarà leggermente intiepidito, unite ad esso gli altri liquidi (olio, latte di mandorla, rum se volete, ed essenza di vaniglia). Unite anche la cannella (ne basta solo un pizzico, se non vi piace potete ometterla), e mescolate bene per amalgamare tutti gli ingredienti.

Alla fine, aggiungete i biscotti e la frutta secca, e amalgamate il tutto in modo che il cioccolato permei tutti gli ingredienti.

Lasciate raffreddare ancora un poco, poi prendete un foglio di alluminio. Stendetevi sopra un foglio di carta forno, e mettete il composto col cioccolato sopra la carta forno e arrotolatelo cercando di dargli la forma di un salame.

Avvolgetelo anche nella stagnola, e fate raffreddare completamente, poi mettete a rapprendere in frigorifero per qualche ora.

Estraetelo dal frigo una ventina di minuti prima di servire. Se volete, potete ricoprirlo di zucchero a velo, per dare proprio l’idea del “salame”.

Merendine allo yogurt e confettura

Merendine allo yogurt e confettura

Quanti primi giorni di scuola nella mia vita? Parecchi e li ricordo (quasi) tutti.
La prima elementare, nel teatro che mi sembrava enorme, stringevo forte la mano della mia mamma e aspettavo che chiamassero il mio nome. Tutta quella gente che si accalcava, e poi all’improvviso arriva una signora, la “mia” maestra, che mi prende per mano e mi porta via.
La prima media, un altro teatro, con le poltrone rosse. So che sarò nella sezione A, hanno pubblicato gli elenchi all’esterno. La chiamano forte “Prima A!”, e mi accodo a tante facce che diventeranno famigliari, quando all’improvviso una bambina mi si affianca. Anche lei mi prende per mano.
“Ciao, io ti conosco, venivo all’asilo con te”. Io non me la ricordo proprio, e un po’ mi sento in colpa. Ma le sorrido, le prendo la mano. Gliela ho tenuta per i tre anni successivi. Sempre insieme.

La prima superiore. Uno scalone infinito, e io mi sentivo tremendamente insicura, inadeguata, totalmente fuori posto. E poi la prima lezione all’università, e anche il primo giorno di lavoro…

Tanti primi giorni.
Se dovessi scegliere, le medie sarebbero il mio “primo” migliore, ma solo perchè sono state il mio miglior periodo a scuola e fuori da scuola. Giocavo a pallacanestro, suonavo la chitarra, vivevo in tuta e in palestra. Stavo crescendo, ma non troppo. Potevo essere qualsiasi cosa.

Erano anche i “mitici” anni ’80, che però non sembravano così mitici allora. Erano gli anni ’80 e a Milano si stava al centro del mondo, e sembrava di stare un po’ in America e un po’ in periferia.

Da un ricordo degli anni ’80 oggi vi propongo le merendine allo yogurt e confettura, che hanno attraversato i decenni e confezionate si trovano ancora nei supermercati.
Se volete farle a casa, e vi assicuro che sono anche più buone, vi bastano pochi ingredienti e uno sbattitore elettrico. Per rendere speciale anche il peggiore di primi giorni di scuola!

Ingredienti:
200 g farina 00
50 g fecola di patate
150 g zucchero
250 g (due vasetti) di yogurt alla vaniglia (o bianco)
80 g olio di semi
16 g lievito vanigliato
3 uova
1 bustina vanillina
confettura a vostra scelta (io albicocche)
zucchero a velo

Procedimento:
Le merendine allo yogurt e confettura si realizzano molto facilmente.
Rompete in una ciotola le uova, aggiungete lo zucchero e montatele fino a che non saranno belle gonfie e chiare.
Aggiungete poi lo yogurt con l’olio e mescolate.
Infine, aggiungete le polveri setacciate (farina, fecola e lievito) e mescolate con il frullino a bassa velocità per eliminare i grumi.

Prendete una teglia rettangolare o quadrata (io ne ho una 20×25), copritela con carta forno inumidita, e versate l’impasto delle merendine allo yogurt e confettura.
Livellate l’impasto, e mettetelo a cuocere nel forno caldo a 170 gradi per mezz’ora.

Lasciate raffreddare bene prima di tagliare le merendine allo yogurt e confettura a metà.
Farcitele con la confettura di vostra scelta, e poi una volta richiuse tagliatele in rettangoli e decorate con lo zucchero a velo.

Per fare le strisce io mi sono aiutata con della carta forno che ho tagliato in listarelle e le ho posate obliquamente sulla superficie delle merendine.

Crostata all’uva e la vendemmia cittadina

Crostata all’uva e la vendemmia cittadina

Contro il muro arancio, a mezzo sole e mezza ombra, il filare. E’ lui, non mi posso sbagliare.
Passa il traffico alle mie spalle, ma lui sta là, dritto e dignitoso. Si fa guardare.
E’ sinuoso, nodoso, orfano in mezzo a un cespuglio di fragole tardive. Gli fa ombra un albero di cachi, che si stanno preparando alla stagione. Piccole sfere verdi che si molleggiano nell’aria di settembre.

Se chiudo gli occhi rivedo i dolci pendii di Maremma, punteggiati da piccole e rade case, e lunghe file di cipressi che con una mano sorreggono il cielo, e con l’altra vegliano sui viali di ingresso. E contano il tempo, che dall’estate che corre rallenta, e passeggia verso l’autunno.

E’ un attimo, un clacson, e torno nell’orto in città. Stretto tra alti muri, la natura si disciplina e cresce, e resiste. E’ il mio personale almanacco.
Adesso i pochi grappoli si gonfiano e splendono al raro sole che si insinua tra un condominio e un garage, mentre ai loro piedi sorridono timide le prime zucche.
Anche se si respirano gli ultimi caldi, il mattino sussurra già l’autunno.

La crostata all’uva è semplicissima, e per non perdere le buone abitudini è anche senza burro. Volendo, potete preparare la crema pasticcera anche senza lattosio, usando del buon latte di mandorla (non zuccherato). Tempo fa avevo preparato una versione senza glutine (che potete trovare qui), oggi invece vi propongo la sua versione passe partout, nel senso che va bene per tutte le stagioni, poichè all’uva potete sostituire la frutta di stagione che preferite.
L’ho decorata con chicchi a casaccio, e penso che sia la soluzione migliore quando non si riescono a trovare (come è stato il mio caso questa volta!) chicchi grandi più o meno tutti uguali. Siccome i semini mi impicciano, ho usato una (peraltro ottima) uva da tavola senza semi, ma voi ovviamente scegliete quella che preferite.

Ingredienti (per una crostata da 24 cm):
per la frolla all’olio:
220 g farina 00
70 g zucchero semolato
60 g olio di semi
1 uovo
una punta di cucchiaino di bicarbonato
1 bustina di vanillina
uva da tavola a scelta

per la crema pasticcera:
350 ml latte parzialmente scremato (o di mandorle per la versione senza lattosio)
2 tuorli d’uovo
60 g zucchero semolato
35 g farina di riso
la scorza grattugiata di mezzo limone

per la gelatina:
150 ml di acqua
1 cucchiaio di fecola
2 cucchiai di zucchero

Preparazione:
Iniziamo a preparare la Crostata all’uva preparando la frolla all’olio.
In una ciotola rompete un uovo, e aggiungete lo zucchero e l’olio. Emulsionate bene con l’aiuto di una forchetta.
Iniziate ad incorporare la farina due cucchiai per volta. In questo modo, siccome ogni uovo e ogni farina è differente, vi potete regolare in modo da ottenere un impasto liscio e non appiccicoso.

A metà della farina inserite anche la vanillina e il bicarbonato, e poi continuate ad impastare con le mani, appena non appiccica più.

Stendete la frolla all’olio subito (non serve farla riposare in frigo) con l’aiuto di un matterello e della carta forno. Lo spessore deve essere all’incirca 4 mm (io vado a occhio).
Mettetela in uno stampo per crostata imburrato e infarinato e cuocete per circa 20/25 minuti in forno già caldo a 180 gradi, utilizzando il metodo di cottura “in bianco”, cioè senza crema. Per evitare che gonfi dovete stendere sulla torta della carta forno, e riempitela poi con le apposite sfere per la cottura in bianco (si trovano anche su Amazon), oppure io uso anche dei borlotti secchi (che ovviamente non mangerò mai!).

Mentre cuoce la vostra frolla potete preparare la crema pasticcera.
Prendete il latte (eventualmente di mandorla) e scaldatelo senza arrivare al bollore.

In un’altra ciotola mescolate con le fruste i tuorli con lo zucchero, fino a che che non schiariscono un poco. Aggiungete poi la farina di riso e continuate a mescolare con la frusta per evitare i grumi.
Poi versate sopra le uova il latte caldo, mescolate molto bene con la frusta, e per ultime aggiungete le zeste.

Rimettete il tutto nel pentolino dove avevate scaldato il latte, e cuocete per qualche minuto. La crea deve prendere il bollore così si inspessirà. Appena arriverà alla consistenza desiderata, toglietela dal fuoco, copritela con della pellicola (deve toccare la superficie della crema per evitare che si formi quella antipatica pellicola) e fatela raffreddare a temperatura ambiente.

Riprendete quindi la vostra crostata, riempitela quasi fino all’orlo di crema pasticcera ormai freddata, e poi coprite la superficie con degli acini di uva ben lavati e asciugati.

Potete assaggiarla già così, ma siccome volevo dare l’idea di una crostata di pasticceria, ho fatto anche la gelatina da spennellare: ho messo l’acqua in un pentolino con lo zucchero e la fecola (potete anche mette il succo di mezzo limone, se la volete aromatizzare), e mescolate con una frusta a mano.
Accendete il fuoco dolce e attendete che inizi ad addensarsi.
Spegnete quando avrà raggiunto la consistenza desiderata (un po’ gelatinosa).
Attendete che si sia raffreddata prima di stenderla sulla crostata all’uva con un pennello da cucina.

Fate riposare la crostata all’uva in frigo un’ora.

Tortini al cocco e le more di rovo di Vetulonia

Tortini al cocco e le more di rovo di Vetulonia

Vetulonia è un piccolo borgo medievale che si erge su una collina nella valle del fiume Bruna. La sua via principale si inerpica fino al belvedere, che da’ una meravigliosa vista sulla rigogliosa vallata sottostante e, nei giorni di poca umidità, anche del mare di Castiglione della Pescaia, che dista pochi chilometri. Poco più su, una caratteristica chiesetta, e un groviglio di piccoli vicoli vegliati da case di sasso.

Scomparsa per secoli, Vatluna fu una delle città etrusche più importanti, ma subì un inesorabile declino fino a scomparire per quasi due secoli. Solo nel 1880 Isidoro Falchi, il medico archeologo, portò alla luce alcuni reperti, e ipotizzò che in quella zona ci sarebbe potuta essere la antica Vetulonia.

Da Castiglione della Pescaia, la strada verso Vetulonia è costeggiata da boschi lussureggianti, puntellati qua e là da casette, agriturismi, qualche tenuta con lunghi viali costeggiati dai cipressi, il marchio di fabbrica della toscanità per i turisti anglosassoni. I filari di vitigni, ad agosto, brillano al sole con i loro rami appesantiti dai grappoli quasi pronti per la vendemmia.

Ogni estate o quasi salgo fin quassù, per tre ragioni principalmente.

La prima è visitare il piccolo ma bellissimo museo etrusco del paese.
ùLa seconda è per far realizzare l’ormai famoso miracolo della maglietta. Non voglio essere blasfema, ma ogni volta che la indosso a Vetulonia, qualcuno mi ferma (per strada, o al museo). L’anno scorso la maglietta è stata una occasione di scambio in ingresso e in uscita con il cassiere del museo, che estasiato dalla maglietta ha voluto sapere dove l’avevo acquistata, quando, com’era stato il concerto… Quest’anno appena fuori dal museo, il miracolo si è ripetuto, con una vecchia spasimante e fidanzata segreta di Simon Le Bon che appena ha visto la maglietta incriminata si è illuminata, raccontandomi in mezzo al parcheggio della sua cotta adolescenziale per il cantante icona degli anni 80. La maglietta incriminata? Eccola.

La maglietta “incriminata”

Certo, la terza ragione sono le more. La prima volta che salimmo quassù, vedemmo tanti anziani ai cigli della strada. Qualcuno in bicicletta, tanti a piedi, buste di plastica alla mano, intenti ad osservare i cespugli ai lati della carreggiata. Qualcuno usciva dai cespugli con qualcosa in mano.
Pensavo ai funghi, magari agli asparagi selvatici. Fermata a macchina al lato della strada, poco prima dell’area archeologica ai piedi delle mura di Vetulonia, mi resi conto della quantità sterminata di rovi carichi di more selvatiche.

Viola scuro, tendenti al nero, le drupe strette e gonfie intorno al centro del fiore, brillavano al sole insieme alle more più rosse, a quelle verdi ancora in attesa di un po’ di pioggia e sole.

Quell’anno ne trovammo così tante che ne riempimmo una busta intera!
Purtroppo non siamo stati così fortunati negli anni successivi, ma con fiducia ci incamminiamo ogni anno, scrutando col fiato sospeso i rovi che tremolano al vento, sperando di tornare carichi del nostro dolce bottino.

Purtroppo anche quest’anno non siamo stati fortunati, quindi ho ripiegato su un rovo di fortuna, dietro ad un immondezzaio (non cantava anche De André che dal letame nascono i fiori?). Il raccolto è stato misero, ma mi ha permesso di realizzare questi deliziosi Tortini al cocco e more di rovo.

Sono facilissimi da fare, e se volete potete usare anche delle mandorle per arricchire l’impasto. Naturalmente, sono buoni anche con le more coltivate!
Vi servirà solo una ciotola, un cucchiaio e una forchetta (o lo sbattitore elettrico).

Ingredienti (per 6 tortini):
170 g farina 00
1 cucchiaio di farina di cocco
1 vasetto di yogurt al cocco
50 g zucchero semolato
50 gr latte
1 uovo
100 g more selvatiche
4 g di lievito per dolci
zucchero a velo per decorare

Preparazione:
Per preparare i Tortini al cocco e more di rovo mettete in una ciotola l’uovo e lo zucchero e montate il composto fino a che non diventa chiaro e spumoso.

A questo punto, aggiungete, sempre sbattendo bene, lo yogurt.
Quando il composto si sarà addensato aggiungete la farina setacciata con il lievito, e la farina di cocco.

Sempre aiutandovi con lo sbattitore (o la forchetta) aggiungete anche la farina di cocco e poi il latte (io ne ho messi 50 g, ma a seconda della farina potrebbero volercene anche 10 g in più).

A questo punto, inserite le more, che avrete prima lavato ed asciugato, incorporandole e facendo attenzione a non romperle.

Mettete l’impasto negli stampini (io ho usato i pirottini di alluminio per crème caramel foderati di carta forno. Riempiteli a tre quarti, perchè lievitano), e cuocete nel forno già caldo a 180 gradi per circa 20 minuti. Fate sempre la prova stecchino!

Aspettate che i Tortini al cocco e more si siano intiepiditi per spolverarli di zucchero a velo.

Con le more che ho colto qui in Maremma tempo fa ho realizzato anche questo Pane dolce alle pesche e more di rovo.

Plumcake alle ciliegie mandorle e cardamomo

Plumcake alle ciliegie mandorle e cardamomo

Ci sono estati ed estati, alcune torride ed altre meno. Questa è una estate monsonica, perchè ogni volta che piove diluvia.
Mai che ci siano quattro gocce. Si scatena l’inferno di acqua e grandine.
E mai grandine normale. Palle da tennis di ghiaccio che ti piombano in testa.
E’ l’effetto del cambiamento climatico, che tutti fingiamo di non vedere fino a che non troviamo il lunotto sfondato da una grandinata mai vista e all’improvviso ci svegliamo dal nostro torpore e realizziamo che, sì, forse c’è qualcosa che non va.

Ho sempre sostenuto la stagionalità di frutta e verdura perchè avere le fragole in tavola a Capodanno mi sembra snaturare nel profondo i cicli delle nostre piante, vive e utili compagne del nostro viaggio sul nostro splendido pianeta terra. Per questo, arrivati ormai in fondo alla stagione delle ciliegie, anche se con le fragole sono il mio frutto preferito, le lascerò dolcemente andare, fermandomi sulla soglia a salutarle (sperando che tornino presto!) con questo delizioso Plumcake alle ciliegie mandorle e cardamomo. Ho scoperto che sono la triade perfetta, soprattutto se nel plumcake ci mettiamo le ciliegie tardive del Trentino, quei palloncini grossi e rosso sangue (venoso, però!), pieni zeppi di succo e dolcezza.

Il connubio con il cardamomo è l’elemento “in” di questo dolce. So che molti lo avvicinano con sospetto, soprattutto nei dolci. Non è una spezia comune nei dolci, lo ammetto. Ma, fidatevi, ne vale la pena. Complice anche Biagio di Gloggtheblog, che ha aggiunto questa spezia in una mia vecchia ricetta ottenendo un risultato strepitoso, ho voluto riprovarci anche io.
Qualche tempo fa avevo realizzato un profumatissimo Pound cake al limone e cardamomo, quindi mi pareva che un anno dopo fosse un tempo sufficiente per riprovare.

Date una chance al cardamomo . Questo sarà il nostro nuovo mantra!

Ingredienti:
15 ciliegie denocciolate (io ho usato quelle trentine, che sono belle grandi)
200 g farina 00
150 g zucchero semolato
100 g farina di mandorle
200 ml latticello
100 ml olio (io di riso)
2 uova
8 g lievito per dolci
2 g bicarbonato
10 semi di cardamomo
2 cucchiai di mandorle a lamelle
zucchero a velo per decorare

Preparazione:
Iniziate a preparare il plumcake alle ciliegie mandorle e cardamomo preparando il latticello. Il latticello è anche chiamato buttermilk ed è generalmente utilizzato nelle ricette anglosassoni (da dove viene questa ricetta, by the way) ma meno da noi. Però lo possiamo realizzare anche noi in casa. Basta prendere 200 ml di latte (quello che volete) e aggiungere un cucchiaio di aceto di mele (ma va bene anche succo di limone, stessa quantità). Lasciatelo riposare dieci minuti e il gioco è fatto! A che serve? A rendere soffice il nostro plumcake!

In una ciotola mettete le uova (a temperatura ambiente, mi raccomando), lo zucchero, l’olio e il latticello e con l’aiuto dell efruste sbattete bene questi ingredienti.

Prendete i semi interi di cardamomo, apriteli e, se lo avete, prendete il macinino per macinarli il più fini possibile, e poi aggiungeteli all’impasto.
Se non lo avete, metteteli così, schiacciandoli solo con l’aiuto di un coltello così rilasceranno l’aroma (potete aumentare la quantità se vi piace questa spezia, ma non supererei il grammo, altrimenti copre le mandorle e le ciliegie!).

A questo punto potete aggiungere i secchi, cioè prima la farina di mandorle e poi la farina setacciata con lievito e bicarbonato.

Foderato uno stampo da plumcake con della carta forno e versate l’impasto così ottenuto. Già il plumcake è buono così, ma con le ciliegie aumenterà il sapore.

Prendete delle ciliegie, lavatele, privatele del nocciolino e immergetele nell’impasto. Potete lasciarle anche in superficie, tanto quando crescerà le ciliegie si andranno a posizionare all’interno. Mettete sulla superficie le mandorle a lamelle.

Cuocete il plumcake nel forno già caldo a 180 gradi per 45 minuti.

Quando è cotto, toglietelo dal forno, attendete dieci minuti poi toglietelo dallo stampo e fatelo raffreddare su una gratella. Spolverate con zucchero a velo prima di srevire.