Ricciarelli di Siena e la piccola cucina rossa

Ricciarelli di Siena e la piccola cucina rossa

Oggi è l’ultimo giorno che la mia piccola cucina rossa ed io vivremo insieme. Siamo state simbiotiche negli ultimi dieci anni.
L’avevo scelta bella colorata perchè il locale è uno spazio lungo e stretto, e con poca luce (cosa che, ho scoperto solo anni dopo, poteva essere una risorsa per le mie foto un po’ moody!). Avevo bisogno di un tocco di colore e di allegria.

In effetti, è stato proprio così. La cucina rossa era diventato il mio bozzolo, il mio laboratorio; durante il primo lockdown il mio ufficio, la mia palestra, il mio cinema – perchè ci avevo messo anche il DVD, nel frattempo – e il mio set fotografico.
E sì, naturalmente, anche la mia cucina.

Era stata così usata da essere talvolta inguardabile. Ormai non c’era più spazio, le teglie e i props avevano colonizzato ogni spazio libero. L’ultimo buchino rimasto se l’era preso l’impastatrice tre anni fa, e da allora ogni necessità era diventato un gioco di incastri.

Era impossibile continuare così, ci voleva più spazio. Quindi, con la grande ristrutturazione, abbiamo deciso che la piccola cucina rossa era pronta al pensionamento. Ma la ricorderò sempre con grande affetto come l’amica simpatica, casinista e incasinata, ma sempre pronta ad accoglierti.

Per festeggiare la nostra ultima cucinata insieme, ho preparato i Ricciarelli di Siena. La ricetta originale è di quel geniaccio del Parenti, di cui vi ho già proposto la ricetta della torta Campo di Neve. Io ho dovuto adattarla perchè non avevo alcuni ingredienti in casa, ma soprattutto perchè dovevo farla senza glutine.

Il risultato è stato apprezzatissimo! In più parliamo di una ricetta che è nata senza lattosio, che ormai è diventato uno degli altri spauracchi di questo periodo, e quindi direi che abbiamo preso i proverbiali due piccioni con una fava!

Avendo dovuto tagliare alcuni passaggi, il grado di difficoltà di questa ricetta è praticamente inesistente. Quindi non ci sono proprio scuse per non rifarli!

Ingredienti (circa una ventina di Ricciarelli):
200 g farina di mandorle
175 g zucchero
buccia grattugiata di un’arancia bio
una punta di cucchiaino di ammoniaca per dolci e un’altra di lievito
un cucchiaio di acqua (temperatura ambiente)

1 albume
1 cucchiaio di zucchero

Preparazione:
In una terrina mettete la farina di mandorle e 150 g di zucchero, insieme con il lievito, l’ammoniaca e la buccia grattugiata dell’arancia. Mescolate e mettete da parte.

In un pentolino fate fondere a fuoco basso lo zucchero rimanente (25 g) con un cucchiaio di acqua.
Dovete lasciare che si sciolga senza mescolare o altro, in modo che si formi uno sciroppo.

Lasciatelo raffreddare qualche minuto e poi versatelo sulla farina di mandorle con gli altri ingredienti, e mescolate con un cucchiaio.
Gli ingredienti secchi assorbiranno lo sciroppo di zucchero, ma naturalmente viste le proporzioni si inumidiranno soltanto e non diventeranno per nulla compatti.
Non vi preoccupate, va bene così!

Prendete un canovaccio, bagnatelo e strizzatelo, e ricopritevi la terrina con all’interno il mix con la farina di mandorle, e lasciate riposare per circa dodici ore. Io li ho preparati alla sera e poi li ho lasciati riposare (con me) una notte intera. Al mattino ci siamo svegliati tutti pronti per affrontare una nuova giornata (o, nel caso dei Ricciarelli di Siena, il forno!).

Trascorso il tempo di riposo, prendete un albume e mischiatelo con 100 g di zucchero. Sbattetelo un po’ prima di incorporarlo alle polveri, ma non troppo. E’ sufficiente che ci sia un po’ di schiumina bianca, non ci perdete molto.

Versate l’albume sulle polveri, e iniziate a mescolare, prima con un cucchiaio e poi, a mano a mano che inizia ad assorbirsi, con le mani, in modo da formare un impasto solido.

Prendete dello zucchero a velo (a occhio circa 100 grammi), spandetelo sul piano di lavoro in modo da aiutarvi a dare all’impasto la forma di un salsicciotto. Per semplicità potete dividere in due l’impasto e fare due salsicciotti.
Tagliate i biscotti a una altezza di circa un centimetro, e con le mani date loro la tipica forma dei Ricciarelli di Siena, un po’ allungata.

Copriteli con lo zucchero a velo, e cuoceteli nel forno già caldo a 120 gradi per circa 15 minuti.

Appena fuori dal forno saranno ancora un p’ morbidi, ma poi induriranno un poco nel raffreddarsi.
A me piacciono molto morbidi, se li preferite più consistenti potete lasciarli in forno un paio di minuti in più.

La pappa al pomodoro più buona (per me)

La pappa al pomodoro più buona (per me)

Le ricette tradizionali sono un mito da sfatare, perchè non c’è nulla di più “particolare” delle ricette tradizionali. E per particolare intendo il suo vero significato etimologico, cioè qualcosa di “proprio di un singolo individuo, di una singola cosa, o di una determinata categoria di individui, di cose, non comune quindi a tutti” (e lo dice il signor Treccani!).

Le ricette tradizionali sono la culla del campanilismo, il profumo di casa mia e non tua, da difendere alzando vessilli e cucchiai, al grido di “l’ha fatto nonna per anni e quindi la mia è più giusta della tua!”. Si sono consumate lotte anche su Facebook, insulti atroci, sull’uso di uno o due spicchi di aglio. La verità è che la ricetta tradizionale è un’idea, che quando diventa tradizione diventa di tutti e cambia, si plasma, si modifica e prende il sapore delle mani di nonna, di mamma, della zia che aveva le mani d’oro.. della famiglia, insomma.

Milanese di nascita e origine, a casa mia la famosa cassoeula (ma si scriverà così?) si fa sgrassata, con tanta verdura e possibilmente poca cotenna, un po’ brodosa così anche la polenta tira su il suo sughetto. La mia zia la faceva molto asciutta, lo sgrassamento era un affronto, e se ci stava in un angolino il soffritto si faceva col burro. Stessa famiglia, stessa ricetta, due piatti. Naturalmente, la versione della zia richiedeva una digestione lunga una settimana.

Lo stesso destino lo condividono le altre “ricette della tradizione”, e tra queste la Pappa al pomodoro. Fate mente locale e ditemi in quante versioni l’avete mangiata, o anche solo sentita raccontare. Due, tre, dieci? Vi crederò, perchè ogni famiglia in Toscana (ma pure fuori da questa regione) ha la sua versione che è giustissima, peraltro. Come le altre nove, del resto.

Delle tante che ho provato, quella che vi propongo oggi è quella che piace di più a me. Certo, non sono toscana di nascita, anche se dopo tutte le estati che ho trascorso qui qualcuno dovrebbe pensare a darmi la medaglietta (col pomodoro!). Però ne ho assaggiata qualcuna, a sufficienza per dire che questa è la più pomodorosa e semplice che ci sia. Io uso preferibilmente i pomodori costoluti fiorentini (se non li trovo prendo altri tipi di pomodoro, ma non è la stessa cosa). Quali sono?
Sono questi bei fustacchioni che vedete qui sotto:

Pomodori costoluti fiorentini

Sono pieni di polpa e succo, e hanno dentro un sapore d’estate che è qualcosa di indescrivibile. In via del tutto eccezionale, quest’anno li ho trovati nella mia azienda agricola di riferimento quando vengo qui in Maremma (Stelle di Maremma, sulla strada per Grosseto) e non me li sono fatti scappare. Aggiungete un po’ di pane sciapo (la mia ricetta per farlo in casa la trovate qui), un po’ di aglio, del buon olio toscano… e basilico. E basta così.

Provatela, e ditemi che ne pensate. So che, rispetto alla versione fiorentina (molto simile a quella che assaggiai anni fa a Volterra, e che era tutto un effluvio di aglio e peperoncino) questa è un po’ più pallidina… ma che volete, mi somiglia!!

Ingredienti: (questa è per due persone, se siete di più raddoppiate le dosi)
2 fette di pane sciapo
400 gr circa di pomodori ben maturi (meglio i costoluti fiorentini, se non li trovate usate i pelati)
1/2 spicchi di aglio (a gusto vostro)
6/7 foglie di basilico (ma abbondate se vi piace)
5 cucchiai abbondanti di olio EVO + altro a piacere, da mettere a crudo
sale q.b.
peperoncino q.b.

Preparazione:
Siccome non mi piace la pelle del pomodoro, la prima cosa che faccio per preparare la pappa al pomodoro è sbollentare i pomodori per spellarli. Basta mettere a bollire dell’acqua, quando bolle immergere i pomodori per un minuto e poi tuffarli in una bacinella con l’acqua fredda.
Si speleranno che è un piacere!

Prima di mettere i pomodori, io tolgo un bicchiere circa di acqua bollente, che metto da parte.

In una pentola mettiamo i 5 cucchiai di olio EVO, facciamo imbiondire uno o due spicchi di aglio, poi mettiamo il peperoncino (se non vi piace o ci sono i bambini potete ometterlo), e i pomodori spellati e già tagliati a pezzetti.

Facciamo cuocere dieci minuti, un quarto d’ora, fino a che non diventa un sugo amalgamato. Potete aiutarvi con una forchetta per rompere la polpa, o una frusta a mano.

Intanto, prendete il pane sciapo passatelo sotto l’acqua del lavandino, in modo che prenda acqua. Fatelo riposare in un piatto.

Quando la salsa si è ben rappresa, strizzate bene il pane e tuffatelo nella salsa, rompendolo con le mani. Aggiungete anche l’acqua che avete messo da parte, il basilico spezzettato, sale a vostro gusto, e cuocete il tutto ancora per dieci minuti. Mescolate sempre bene con la frusta a mano o la forchetta, così il pane si amalgamerà bene al resto e diventerà una specie di vellutata.

A fine cottura, fate riposare la vostra Pappa al pomodoro almeno un’ora.

Potete servirla fredda oppure riscaldata.

Prima di servire la Pappa al pomodoro, io aggiungo ancora un po’ di olio a crudo e qualche fogliolina di basilico fresco.

La Schiaccia e un pezzo di cuore in Maremma

La Schiaccia e un pezzo di cuore in Maremma

Arrivai qui un pomeriggio assolato di vent’anni fa. Gironzolavo in auto in una delle estati più brevi della mia vita, schiacciata tra gli impegni di un nuovo lavoro e una nuova dimensione di vita. La meta avrebbe dovuto essere molto più su, a Cala Violina, ma una volta arrivata là scoprii che avrei dovuto prenotare almeno il parcheggio. Vent’anni fa internet era un’altra cosa.

Un po’ delusa girai la macchina verso sud, diretta a Castiglione della Pescaia. Dopo pranzo, con un caldo che annientava, mentre pensavo ai vecchi colleghi che avevo appena lasciato, mi assalì una sorta di pigra malinconia. In quel momento, mi ricordai di una collega che mi aveva raccontato diverse volte, davanti a un tristissimo petto di pollo al vapore nella mensa dell’ospedale dove entrambe lavoravamo allora, delle sue estati in Maremma.

Salii in macchina e cercai questo Eden formato famiglia, da cui avevo intenzione di chiamarla per dirle che ero là. La strada da Castiglione attraversa una pineta rigogliosa, punteggiata da camping e ciclisti, qualcuno in costume e qualcuno che pare attardato dall’ultimo Giro d’Italia. Tutto intorno il rumore delle cicale. Tante.

Dopo il bivio per Marina di Grosseto vidi un cartello, che mi diceva di svoltare a destra. Finalmente all’ombra della pineta, attraversai il lungo viale che negli anni ho imparato a conoscere e ad amare.
Arrivai che erano forse le due o le tre del pomeriggio. Non c’era nessuno in giro. La strada principale era quasi deserta, fatta eccezione per i pochi avventori di un bar all’angolo di una via, e qualche turista in bicicletta con i salviettoni nel cestino. Con il sole a picco, parcheggiai la macchina all’ombra in una via laterale, e iniziai a passeggiare sotto la pineta, a cercare un po’ di sollievo dal caldo.

Tutto era tranquillo, quasi irreale. Come se il tempo si fosse fermato. Sotto la pineta, invisibili al mio arrivo, scoprii tantissime casette, per la maggior parte villette, con un piccolo giardino davanti. Qualche condominio al massimo a due piani, con bellissimi balconi. Ma era la pineta la protagonista, con il suo caratteristico profumo, le fronde che si agitavano al (poco) vento di una assolata giornata di metà agosto, e qualche pigna in caduta libera da schivare.
Mi immaginai seduta sotto uno di quei meravigliosi patii a guardare trascorrere l’estate senza tv, senza rumori che non fossero le cicale e i miei pensieri. Pensai che sarebbe stato bello trascorrere un’estate così.

Sono diciassette anni quest’anno di queste estati in Maremma. Non riesco a pensare a nessuna vacanza più rilassante di questa. Di posti che conosco e che mi mancano. Quando a maggio inizio a sentire la stanchezza, mi assale la voglia di svoltare a destra e di immergermi nella (ormai anche mia) pineta.

Spiaggia delle Capanne

Per tanti anni abbiamo trascorso il mese di agosto in un appartamento proprio sopra il forno. Ogni mattina eravamo svegliati dal rumore delle cicale e dal profumo del pane e della schiaccia appena sfornata. La Schiaccia può essere più o meno secca, e tipica del grossetano è quella con acciughe e cipolle, che erano gli alimenti poveri del tempo. Era tipica delle zone costiere, quando i pescatori, tornati dal mercato, tenevano per la famiglia solo le varietà più povere del pescato del giorno, oltre naturalmente alle immancabili cipolle. Personalmente preferisco quella alla pala, che si può gustare da sola, o con i salumi della zona… o come volete voi!
Non so se questa che vi lascio sia la ricetta tradizionale della Schiaccia.
Sicuramente è una versione molto veloce (e, come dicono gli inglesi che nel Chiantishire, non lontano da qui, la fanno da padrone, fuss free), quando vi assale la voglia di… come diceva quella pubblicità? Sì, qualcosa di buono!

Ingredienti:
500 g di farina (metà 00 e metà manitoba)
300 g acqua a temperatura ambiente
50 ml di olio EVO (toscano, ovviamente!!)
8 g di lievito di birra fresco
10 g sale
sale grosso e olio evo per condire la superficie

Preparazione:
Preparare la schiaccia è facilissimo, e anche chi non ha basi di lievitazione (come me!) può avere ottimi risultati.
Sciogliete il lievito nell’acqua a temperatura ambiente (se usate il lievito di birra secco mettetene metà grammatura e seguite attentamente le istruzioni sulla confezione per attivarlo!).

In una ciotola capiente (o nel boccale della planetaria) mettete le farine, amalgamatele e poi inserite metà dell’acqua con il lievito sciolto . Quando si sarà assorbita, mettete il sale, mescolate e poi versate la seconda metà di acqua che rimane, e l’olio.

L’impasto sarà molto appiccicoso, ma va bene così. Se lo fate a mano, aiutatevi con un cucchiaio.

Coprite e fate lievitare fino almeno al raddoppio. Dipende dalla temperatura esterna, in estate due ore bastano, d’inverno magari ce ne vogliono pure tre o quattro, se fa freddino.

Riprendete l’impasto, e su un piano di lavoro ben spolverato di farina (altrimenti appiccica!) fate fare un giro di pieghe all’impasto. In parole povere: stendetelo in forma rettangolare con le dita, piegate prima i lembi superiore ed inferiore, e poi i due laterali, tipo a portafoglio.

Copritelo con la ciotola e lasciatelo lievitare sul piano di lavoro ancora mezz’ora.

Fate un’altra piega e lasciatelo coperto dalla ciotola per il tempo necessario a scaldare il forno a 250 gradi.

Quando il forno è caldo prendete una teglia (io la fodero con la carta forno) e stendete l’impasto della Schiaccia con le dita. Versate sulla superficie dell’olio (a vostro gradimento, io almeno ne uso 4 cucchiai… ok, cinque!) e spargetelo con le dita creando delle fossette sulla superficie così l’olio si raccoglierà lì e.. ma che ve lo dico a fare?
Distribuite un po’ di sale grosso sulla superficie e cuocete la Schiaccia per circa venti minuti.

Quando la Schiaccia è ancora calda, potete anche distribuire sulla superficie dell’altro olio (un cucchiaio basterà) per renderla ancora più golosa.

Se volete cimentarvi in un altro lievitato toscano, perchè non provate la mia versione del Pane sciapo?

Lattaiolo toscano

Lattaiolo toscano

Quella meravigliosa miniera di informazioni che è “La Cucina Toscana” di Giovanni Righi Parenti descrive il Lattaiolo come un dolce che risale al XVII secolo. Un dolce che davvero possiamo dire della tradizione, considerata l’età! Confesso di averlo scoperto in queste pagine, perchè nei miei pur tanti soggiorni in terra toscana non mi è mai capitato di incontrarlo.
Incuriosita, ho voluto provare la versione “con farina” del Righi Parenti, che però… è venuta un disastro! Asciutto, tozzo, niente a che vedere con le foto (non molte, per la verità) che ho visto online.

Poichè sono testarda, mi sono ripresa dallo shock e l’ho riprovato seguendo la ricetta alternativa, che Righi Parenti cita soltanto ma che ho trovato su un altro libro di cucina toscana, cioè senza farina ma solo uova. Il risultato è stato una brodaglia spappolosa e tristissima, che è uscita dalla teglia messa a cuocere a bagnomaria al forno. Disastro numero due!

Allora mi ci sono rimessa, variando un po’ gli ingredienti. Ancora nulla. Ero così scoraggiata che ho lasciato perdere, sicura che come le torte upside down, anche il lattaiolo sarebbe finito nel mio personale file denominato “non riprovarci mai più!”.
Lo scorso weekend, però, ho ritrovato gli appunti dell’ultimo mio tentativo, e ho deciso che ero abbastanza di buonumore da permettermi un ultimo tentativo.

Finalmente la consistenza era quella che cercavo!! Ho fatto un errore piccolo piccolo, ma sono sulla buona strada, e pronta a condividere la ricetta con voi!

Beninteso, è la mia ricetta del lattaiolo, e non ho idea se sia o meno quella supertradizionale, che dal Seicento è approdata all’anno duemila. Come per tutte le ricette tradizionali, c’è gente pronta ad accapigliarsi, e non solo verbalmente, per imporre la supremazia della propria ricetta su quella degli altri.
Quindi metto le mani avanti, e ve lo dico subito che probabilmente nella Toscana del diciassettesimo secolo non lo facevano così. Ma a casa mia, nel duemilaventuno, il lattaiolo è questo qui. Ed è buono!

Ingredienti (per quattro cocottes di media grandezza):
250 ml di latte (io ho usato il parzialmente scremato, intero da più gusto e consistenza)
2 uova medie
25 g di zucchero
20 g di amido di mais (senza glutine se avete commensali con malattia celiaca)
2 cucchiaini di essenza di vaniglia
le zeste grattugiate di un limone bio

Procedimento:
In una ciotola abbastanza capiente montate bene le uova con lo zucchero, in modo che almeno duplichino di volume.
Aggiungete anche le zeste grattugiate del limone e l’estratto di vaniglia e montate con la frusta per qualche minuto.
Scaldate leggermente il latte, scioglietevi all’interno l’amido di mais e poi incorporatelo alle uova montate mescolando dal basso verso l’alto in modo da non smontarle (comunque si smonteranno un po’, ma è normale).

Imburrate e infarinate (con l’amido di mais per un risultato 100% gluten free) le cocottes, riempitele del composto fino a quasi l’orlo (cuocendo il lattaiolo si abbasserà).

Mettete le cocottes in una pirofila con un po’ di acqua (un paio di dita) e cuocete nel forno già caldo a 160 gradi per un’ora circa.

Se non avete le cocottes in ceramica usate pure i pirottini di alluminio usa e getta!

Campo di neve

Campo di neve

La torta campo di neve è una ricetta toscana delle zone di Prato, o giù di lì, giusto per dimostrare che a Prato non ci sono solo i cantucci o le peschine (che rifarò MOLTO presto!). Non so quanto sia ancora in uso, visto che anche in quel bel mondo che è l’internet non ne ho viste molte (anzi, direi che le si può contare sulle dita di una mano, e forse una mano è fin troppo!).

E’ un peccato, anche perchè mia nipote l’ha soprannominata torta paradisiaca, il ché le dà un patentino non da poco!

Era un po’ che volevo provarla, complice la versione che ho trovato su quel gran librone che è “La Cucina Toscana” di Giovanni Righi Parenti, un bel tomo (adesso è anche in edizione molto economica!) che è la summa di tutte le ricette regionali toscane, ma è anche un bel racconto gastro-storico di una delle regioni più amate d’Italia (almeno, dagli inglesi di sicuro! oltre che da me).
Ve la racconto oggi, dicendovi anche (il buon Giovanni questo non l’ha specificato!) che queste quantità sono perfette per una teglia da 22 cm di diametro.

Se avete albumi d’avanzo, non li buttate, ma regalatevi una squisitezza candida… come la neve!

Ingredienti:
8 albumi
300g di zucchero semolato
80g di farina 00
la buccia di un limone non trattato
100g di fecola di patate
100g di burro fuso tiepido
due/tre manciate di mandorle bio tostate e tritate grossolanamente (lui dice mezzo etto, devono essere sufficienti a coprire il fondo della torta)

Procedimento:
La torta campo di neve si prepara montando anzitutto gli albumi a neve piuttosto ferma.

Con una spatola, incorporate prima la fecola, e poi la farina, le zeste del limone e lo zucchero.
Mescolate pianco dal basso verso l’alto, per non smontare gli albumi,
Solo una volta che il tutto si è amalgamato, aggiungete il burro fuso a temperatura ambiente.

Prendete uno stampo a cerniera di 22 cm di diametro, imburratelo infarinatelo, oppure foderate il tutto con la carta forno.

Sul fondo della teglia spargete le mandorle – potete usare uno strato di mandorle a granella, come ho fatto io, o usare le lamelle, o ancora tagliare delle mandorle a pezzi irregolari. Deve formarsi uno strato sul fondo di mandorle, che resterà in alto quando andremo a ribaltare la torta.
Cuocete per 45 minuti la torta campo di neve in forno caldo a 130 gradi.
La torta deve cuocere lentamente e crescere in maniera graduale.

Aspettare a sformarla quando si sarà raffreddata.

Potete decorare con una spolverata di zucchero a velo, o di zucchero semolato, o lasciando la base croccante a vista.

Pane toscano o pane sciapo

Pane toscano o pane sciapo

Ho trascorso in Toscana una buona parte delle mie estati. Da che mi ricordi, l’estate iniziava alla fine della Cisa, quando si apre l’Autostrada Tirrenica, con i suoi oleandri sugli spartitraffico. Mi è rimasta così impressa questa immagine che, ogni volta che vedo un oleandro, mi viene una gran voglia del sole di Toscana.
Prima è stata tanta Versilia, poi dieci anni e più all’Isola d’Elba, e nel ultimi quindici anni è stata sempre e solo Maremma. Mi sento un po’ triste al pensiero che forse, quest’anno, non potrò tornare (grazie coronavirus…).
Mi mancheranno il Parco dell’Uccellina, i cinghialotti che cercano il cibo alla sera, il panorama di Vetulonia, le stradine strette di Volterra, l’erba che si butta nel mare del Golfo di Baratti, il Castello di Castiglione della Pescaia, il mercato del giovedì di Grosseto, l’odore di uova marce delle terme di Saturnia…

Questa settimana mi sono sentita spesso nostalgica e un po’ triste, e quel che ho potuto fare per curare un po’ questa nostalgia è stato preparare il pane toscano, cioè il pane sciapo, che è anche l’ingrediente principe della Panzanella.

La preparazione non è così difficile come potrebbe sembrare, ed è uno dei pani che pià mi dà soddisfazione a prepararlo. Adoro sentire la crosticina che scrocchia appena fuori dal forno. Mi sembra che il pane “canti”, ed è una bella musica davvero.

Il pane toscano ha un suo disciplinare, e richiede l’uso del lievito madre. Ma questa volta ho voluto fare una biga, una sorta di pre impasto, in modo che tutti, anche chi non ha il lievito madre, può realizzarlo.

Ingredienti (per un filone di circa un chilogrammo):
per la biga
300 gr di farina 0
10 gr di lievito di birra fresco
200 ml di acqua tiepida

per l’impasto:
500 g farina manitoba
250 ml di acqua tiepida

Procedimento:
La sera prima preparate la biga del vostro pane toscano: versate l’acqua in una ciotola abbastanza capiente, e sciogliete all’interno il lievito. Incorporate successivamente la farina a oco a poco, amalgamando con una spatola per circa dieci minuti. Vedrete che l’impasto a mano a mano che mescolate diventerà liscio.
Coprite la ciotola con la pellicola alimentare e fate lievitare a temperatura ambiente per 12 ore.

Il giorno successivo: versate nelle ciotola della biga l’altra acqua tiepida e poi la farina, e impastate almeno dieci minuti. L’impasto è molto morbido ed idratato, ma deve essere così, non è sbagliato nulla. Se usate una impastatrice, mettete prima la biga della ciotola della impastatrice e poi procedete come da ricetta, usando il gancio per gli impasti.
Lasciate lievitare per almeno un’ora coperta dalla pellicola alimentare.

Successivamente trasferite l’impasto su un piano leggermente infarinato, e formate le pieghe, dando poi la forma di un filone. Mettete questo filone sulla teglia, che avrete coperto con la carta forno. Spolverate la superficie con la farina, e fate lievitare ancora un’ora. Anche questa volta ho coperto la superficie con la pellicola, così non si formerà quella fastidiosa crosticina.

Scaldate il forno a 230 gradi, e mettete una ciotola sul fondo con dell’acqua (io uso i pirottini in alluminio per i creme caramel) quando raggiumge la temperatura.
Scoprite il pane e mettetelo nel forno a cuocere per 35 minuti.

Se lo desiderate potete anche fare qualche taglio con una taglierina per panettieri sulla superficie, ma naturalmente se non l’avete va benissimo lo stesso!

Pan co’ santi senese

Pan co’ santi senese

Il Pan co’ santi senese è un tipico dolce autunnale della provincia di Siena, che si prepara nel periodo di Ognissanti. Le affinità con altri dolci senesi è evidente: frutta secca e spezie non mancano mai, perché erano i tesori (appunto, i santi del nome!) che i mercanti senesi riportavano dai loro viaggi commerciali.
Il ripieno arricchisce un pane davvero semplice, che di solito si preparava il giorno del sabato, che era dedicato alla panificazione per tutta la settimana. Sabato scorso mi ci sono messa anche io a panificare il pan co’ santi senese, e con uno sforzo davvero minimo ho sfornato una vera meraviglia della cucina povera e tradizionale del nostro Paese.
Il grosso del lavoro lo fa il lievito, voi dovere soltanto pesare e impastare gli ingredienti. Se avete la planetaria poi.. ma che aspettate?
Vi consiglio di riscoprire questa ricetta tradizionale toscana di altri tempi, che qui vi lascio in versione anche vegana (ho eliminato lo strutto e l’ho sostituito con l’olio evo).

Ingredienti (per due pani di media grandezza)
150 gr farina 00
150 gr farina manitoba
10 gr lievito di birra
120 ml acqua tiepida
3 cucchiai zucchero
70 ml olio EVO
150 gr uvetta
150 gr noci
Mezzo cucchiaino di pepe
Un pizzico di sale
Tuorlo d’uovo per spennellare la superficie – per la versione vegana usate il latte vegetale per spennellare.

Procedimento:
Anzitutto mettete l’uvetta a rinvenire nell’acqua tiepida per almeno venti minuti.
Nel frattempo, tostate le noci in un padellino antiaderente con una goccia di olio – vi assicuro che l’olio sprigionerà tutto il gusto delle noci, che a loro volta daranno al pane un gusto inconfondibile!
Sciogliete anche il lievito nell’acqua tiepida, mescolando bene.

Mettete nella planetaria (o in una ciotola, se impastate a mano) le due farine, lo zucchero, il pizzico di sale, il pepe, l’olio e mescolate brevemente. Aggiungete poi l’acqua col lievito, a poco a poco.

Quando si sarà formato l’impasto, aggiungete per ultimi l’uvetta strizzata e le noci, che nel frattempo si saranno raffreddate.
Se impastate a mano, l’uvetta e le noci le potete anche aggiungere all’inizio dell’impasto – l’importante è che non si frantumino troppo, ma rimangano a grossi pezzi.
Attenzione: se vi piace (e le lo consiglio) prima di tuffare l’uvetta nell’impasto, passatela in un po’ di vin santo – il sapore del pan co’ santi migliorerà tantissimo!
Se siete astemi, oppure avete bimbi a tavola, meglio di no!

Prendete l’impasto e formate una palla. Mettetelo in una ciotola pulita con un po’ di farina all’interno, copritelo con la pellicola alimentare e un canovaccio pulito e fatelo lievitare in luogo tiepido per circa tre ore. Io lo metto sempre in forno, dove è protetto per bene. Prima di metterlo a lievitare accendo brevissimamente il forno, e lo porto a circa 40 gradi, così si aiuta la lievitazione.

Trascorse le tre ore, riprendere il vostro panetto, e ricavate due pagnottine all’incirca delle medesime dimensioni.

Sistematele sulla leccarda del forno, che avrete ricoperto con la carta forno. Incidete la superficie formando una croce, spennellatele col tuorlo dell’uovo (o il latte vegetale) e rimettetele a riposare per mezzora.

Accendete intanto il forno e portatelo alla temperatura di 180 gradi.

Infornate il vostro pan co’ santi per circa 25 minuti.

Se volete altre idee anche salate di cucina toscana, leggete il libro di Giovanni Righi Parenti “La cucina Toscana“.

Castagnaccio toscano all’arancia

Castagnaccio toscano all’arancia

Il castagnaccio è come il ragù – ogni famiglia ha la sua versione, i suoi segreti, e guai a chi li mette in discussione. Le ricette tradizionali italiane sono la tipica espressione del campanilismo familiare caratteristico del nostro bellissimo Paese, che lo rende unico tra i tanti. La sua origine se la contendono diverse regioni, anche se a noi è arrivata la tradizione che lo vuole dolce toscano per eccellenza.

Oggi vi propongo la mia versione del castagnaccio toscano, che per inciso ho sempre detestato fino a quando non ho scoperto questa variante (che mi dicono essere più diffusa nella Garfagnana) un po’ più dolce, che unisce le note aromatiche del rosmarino all’arancia.
Il retrogusto di arancia e qualche cucchiaio di zucchero fanno perdere alla farina di castagne un po’ di quel retrogusto di cartoncino bagnato, che detestavo.

Il castagnaccio toscano all’arancia è un dolce vegano e senza glutine ante litteram, quindi adatto a tutti.

Queste quantità vanno bene per una teglia (che dovrebbe essere bassa) di circa 24 cm di diametro.

Ingredienti:
260 gr farina di castagne
250 ml di succo di arancia
100 ml acqua
60 gr uvetta
30 gr pinoli
30 ml olio extravergine di oliva
3 cucchiai zucchero di canna
1 rametto di rosmarino
Scorsa di un’arancia bio
1 pizzico di sale

Procedimento:
Iniziate a preparare il castagnaccio toscano all’arancia mettendo l’uvetta in ammollo in acqua tiepida per una mezz’ora, in modo che si possa reidratare.

Mentre l’uvetta si reidrata, tostate leggermente i pinoli in una padella antiaderente sul fuoco basso. Non serve che siano bruni, è sufficiente che inizino a “sudare” leggermente, lasciando i loro oli (e tutto il loro profumo!). Fateli raffreddare.

Mettete la farina di castagne e un pizzico di sale in una terrina, mescolate poi iniziate ad aggiungere il succo di arancia. Con l’aiuto di una frusta a mano, iniziate ad amalgamare gli ingredienti.

Aggiungete poi anche l’acqua, a temperatura ambiante, e continuate a mescolare per evitare i grumi, fino a che non si formerà un impasto liscio e omogeneo.

Successivamente, unite all’impasto – sempre mescolando con la frusta – l’olio evo e lo zucchero (che è opzionale, potete anche ometterlo se vi piace un sapore più spinto di castagne).

Infine, incorporate una parte dell’uvetta, che avrete ben strizzato e asciugato, e due terzi dei pinoli, e infine la scorza di arancia. Se non la trovate, andrà bene dell’arancia candita, che dovete tagliare a pezzettini piccoli.

Versate il composto in una tortiera a cerniera, che avrete in precedenza spennellato con l’olio. Se volete, potete mettere alla base un foglio di carta forno, per aiutarvi nell’estrazione.

Spargete sulla superficie le uvette ed i pinoli rimasti, oltre al rosmarino, e qualche goccia di olio.

Infornate il vostro castagnaccio toscano all’arancia per circa 40 minuti in forno già caldo a 180 gradi. Saprete che è pronto quando inizierete a vedersi formare delle crepe sulla superficie.

Il castagnaccio toscano all’arancia è ancora meglio se servito dopo qualche ora dalla sua preparazione, perché avrà avuto tempo di assestarsi e di amalgamare tutti gli aromi.

se ti piace la farina di castagne, puoi provare anche questi divertenti Frollini segna glutine alla farina di castagne

Budini di riso alla fiorentina

Budini di riso alla fiorentina

Non dite che non è vero, vi ho visti storcere il naso! Lo so che il budino di riso alla fiorentina non è probabilmente l’originale – o meglio, è una evoluzione di quello originale, che sarebbe nato a Siena ed era sicuramente fatto di solo riso, senza quella buonissima camiciola di frolla che conosciamo ai nostri giorni.
Adesso è diventato un must delle colazioni toscane, e non c’è pasticceria nella regione che non ne abbia la sua versione. In quel di Pistoia so che lo chiamano anche risottino, ma indipendentemente dal nome che gli si vuole dare, o dalla sua origine, i budini di riso alla fiorentina sono la versione che è arrivata ai nostri giorni, ed è quella che vi propongo oggi.

La ricetta prevede una frolla friabile e non gommosa, che deve fare da contrasto con il ripieno cremoso. Siccome il ripieno è già ricco di suo, ho preferito usare una frolla all’olio, molto più leggera, e molto friabile perchè non ho usato il lievito nell’impasto.

Di ricette ce ne sono tante, tante quante sono le famiglie toscane. Io vi lascio la mia versione un po’ alleggerita nei grassi animali, per dare un’occhiata al gusto e una alla linea. So che i puristi storceranno il naso un’altra volta, ma questi budini di riso alla fiorentina hanno conquistato davvero tutti!

Ingredienti per circa 10-12 budini:
Per la frolla
220 gr farina 00
70 gr zucchero semolato
60 gr olio vegetale
1 uovo

Per il ripieno:
150 gr riso (preferibilmente uno per minestre e non tiene tanto la cottura)
400 gr latte intero
100 gr zucchero semolato
50 gr butto
2 tuorli
1 pizzico di sale
cannella q.b.
mezzo cucchiaino di estratto di vaniglia
zeste grattugiate di un limone bio

Procedimento:

Iniziate preparando il ripieno dei vostri budini di riso alla fiorentina, dal momento che la pasta frolla all’olio sarà subito pronta e non necessita di riposo in frigo.

In una casseruola mettete il latte, il riso e lo zucchero: mescolate bene e poi fate raggiungere il punto di ebollizione a fuoco basso. Appena prima del punto di ebollizione, mettete il burro a pezzetti e un pizzico di sale, oltre alle zeste del limone, alla vaniglia e alla cannella (giusto una spruzzata).
Cuocete il riso per il tempo necessario indicato nella sua confezione, di solito venti minuti, mescolando spesso per evitare che si attacchi alla pentola.

Una volta giunto a cottura, lasciate raffreddare un poco, e quando sarà ancora caldo ma non bollente, incorporate nei budini di riso alla fiorentina anche i tuorli, sempre mescolando bene per evitare grumi.

Mentre il riso si intiepidisce, preparate la frolla mettendo in una ciotola l’uovo, l’olio e lo zucchero. Mescolate poi con una forchetta per amalgamare bene, e successivamente iniziate ad aggiungere la farina poco per volta, sempre mescolando. L’impasto a mano a mano che metterete la farina diverrà più liscio e compatto, e quando non si attaccherà più alle mani sarà pronto.

Stendete la frolla a circa 4 mm di spessore e tagliatela a cerchi con l’aiuto di un coppapasta.
Io ho preso degli stampi per muffin per aiutarmi nella cottura, anche se la ricetta tradizionale vorrebbe i budini di riso alla fiorentina fatti con una forma ovale, come questa.

Imburrate e infarinate gli stampini, mettete la pasta frolla coppata in ogni stampino, e bucherellate il fondo con i rebbi della forchetta.
Mettete la crema di riso intiepidita in ogni stampino sopra lo strato di frolla, avendo cura di restare un po’ sotto al bordo, perchè cuocendo si gonfieranno leggermente.

Mettete quindi a cuocere in forno a 180 gradi per circa 25 minuti.

Quando saranno raffreddati, spolverateli di zucchero a velo.

Se cercate altri dolci della tradizione toscana, regione con cui sento finalità elettive che devo ancora ben esplorare, vi invito a leggere anche la mia versione del Castagnaccio profumato all’arancia.